Vitamina C

La vitamina C ha azione anti-infettiva (produzione di anticorpi), antitossica (inattivazione di alcune tossine), di attivazione di diversi enzimi, regola il metabolismo dei vari nutrienti, ha potere antiossidante, interviene nella conversione del colesterolo in acidi biliari, blocca la sintesi delle nitrosammine (sostanze cancerogene), previene con il ferro l’assorbimento del cadmio e favorisce l’assorbimento del ferro.

La vitamina C ha azione anti-infettiva (produzione di anticorpi), antitossica (inattivazione di alcune tossine), di attivazione di diversi enzimi, regola il metabolismo dei vari nutrienti, ha potere antiossidante, interviene nella conversione del colesterolo in acidi biliari, blocca la sintesi delle nitrosammine (sostanze cancerogene), previene con il ferro l’assorbimento del cadmio e favorisce l’assorbimento del ferro.

La carenza determina lo scorbuto, che non compare immediatamente con la riduzione dell’apporto di vitamina C in quanto il nostro organismo è in grado di accumulare, entro certi limiti, riserve di questa vitamina.

Non dà problemi di tossicità in quanto l’eccesso viene eliminato con le urine.

Presente soprattutto nel mondo vegetale, è però largamente inattivata dalla cottura poiché si ossida facilmente.

Il fabbisogno di vit. C è di 60 mg/die nell’adulto e 45 mg nei bambini. Poiché nei fumatori il turnover metabolico della vitamina C aumenta di oltre il 40%, il fabbisogno va raddoppiato.
In gravidanza il fabbisogno è di 70 mg/die a in allattamento 90 mg/die.

ALIMENTI
Vit. C mg/100 g alimento
prezzemolo 162
peperoni 151
rucola 110
kiwi 85
cavolo broccolo verde 77
succo di frutta 60
spinaci 54
fragole 54
arance 50
limone 50
verza 47
radicchio verde 46
spremuta di pomodoro 44
succo di limone 43
mandarini 42
pompelmo 40

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    Le abitudini alimentari dei bambini in sovrappeso

    Analizzando le abitudini alimentari dei ragazzi in sovrappeso si nota un modello alimentare sregolato: saltare la colazione, tendenza all’eccessivo consumo di snack pronti, elevata introduzione di grassi e scarso consumo di frutta e verdura.


    Analizzando le abitudini alimentari dei ragazzi in sovrappeso si nota un modello alimentare sregolato: saltare la colazione, tendenza all’eccessivo consumo di snack pronti, elevata introduzione di grassi e scarso consumo di frutta e verdura.

    Allo sviluppo dell’obesità contribuisce l’ambiente familiare in quanto esso incide sulla costruzione del modello comportamentale di controllo dell’introito di cibo tramite lo stesso comportamento alimentare dei genitori e le modalità di nutrizione dei figli. 
Ecco alcuni esempi di comportamenti che alterano la capacità di percepire i segnali di fame e sazietà:

    • insistere sul terminare il cibo presente nel piatto
    • associare al pasto altre attività: lettura, televisione, computer, ecc…
    • utilizzare il cibo come festeggiamento, premio o punizione

    Genitori che hanno essi stessi problemi di peso, preoccupati per lo stato di sovrappeso dei figli, possono inoltre intervenire con pratiche di controllo non adeguate che promuovono lo sviluppo di stili alimentari problematici e sovrappeso dei figli.

    In questo senso le varie ricerche suggeriscono come i programmi di prevenzione dovrebbero mirare a fornire conoscenze e strumenti utili per incoraggiare modelli di preferenze e scelte alimentari più vicine a diete salutari in tutta la famiglia e a promuovere la capacità dei bambini all’autogestione dell’alimentazione per quanto di loro competenza.

    L’indice di sazietà: il potere saziante dei cibi

     Il potere saziante dei cibi è una variabile fondamentale per controllare lo stimolo della fame. Essa è influenzata da diversi fattori, di natura sensoriale, meccanica e ormonale:

    Il potere saziante dei cibi è una variabile fondamentale per controllare lo stimolo della fame. Essa è influenzata da diversi fattori, di natura sensoriale, meccanica e ormonale:

    • la vista del cibo
    • la masticazione
    • la deglutizione
    • la ripienezza e lo svuotamento gastrico
    • i fattori post-assorbitivi

     

     

     

     

     

    Densità calorica

    L’indice di sazietà di un alimento è inversamente proporzionale alla sua densità calorica. Infatti un maggior volume a parità di calorie significa un maggior riempimento gastrico e quindi maggiore sazietà.

    Consistenza degli alimenti e masticazione

    Masticare per un tempo superiore la stessa quantità di cibo sazia di più e più a lungo perché si dà il tempo ai segnali anoresizzanti provenienti dall’apparato gastroenterico di raggiungere il cervello stimolando la sensazione di sazietà.
    Per lo stesso motivo sono da preferire i cibi che richiedono una lunga masticazione, come per es. la carne, la pasta, il pane, la verdura.

    Fibra

    Gli alimenti ricchi di fibra, oltre che avere una densità calorica minore, rallentano lo svuotamento gastrico e il rilascio di glucosio nel sangue, prolungando il senso di sazietà per azione meccanica (il cibo rimane più a lungo nello stomaco) ed ormonale (modulata risposta insulinica).

    Grassi e zuccheri

    Gli alimenti ricchi di grassi e zuccheri (es. dolci, merendine, gelati, burro, olio, frutta secca) hanno una densità calorica elevata e la maggior parte di questi richiedono poco tempo per essere masticati. Il risultato è l’introduzione di molte calorie senza soddisfare la fame, che porterà alla ricerca di altro cibo e quindi di calorie in eccesso rispetto al reale fabbisogno.

    Oggi è possibile valutare la sazietà indotta da un alimento con un indice, chiamato “fullness factor”, introdotto e studiato per la prima volta nel 1995 dalla ricercatrice australiana Susanna Holt. (Holt, S.H., et al., A satiety index of common foods, Eur J Clin Nutr 1995 Sep; 49(9): 675-690).

    Tale indice viene calcolato attraverso una formula matematica che prevede la sazietà di un determinato alimento o ricetta in base al contenuto (riferito a 100 g) di calorie, proteine, fibra e grassi.

    Il risultato è un numero che varia da 0 a 5. Il valore soglia è 2,5: sono considerati molto sazianti gli alimenti con indice di sazietà maggiore di 2,5, poco sazianti quelli con indice inferiore.

    Al primo gruppo appartengono infatti cibi che hanno una bassa densità calorica, che sono ricchi di fibra e che richiedono un lungo tempo di masticazione (verdura, frutta, carne, pesce); al contrario si classificano nel secondo gruppo i cibi grassi e zuccherini che non favoriscono la ripienezza gastrica e che vengono deglutiti rapidamente (dolci, burro, merendine, frutta secca). Per esempio il pesce alla griglia ha un “fullness factor” di 3,4 mentre il miele di 1,4.

    Tabella del Fullness Factor

    Alimenti

    Fullness Factor

    Anguria

    4.6

    Pompelmo

    4.0

    Carote

    3.8

    Arance

    3.5

    Pesce alla griglia

    3.4

    Petto di pollo arrosto

    3.3

    Mele

    3.3

    Bistecca di manzo

    3.2

    Pop corn

    2.9

    Patate al forno

    2.5

    Yogurt magro

    2.5

    Banana

    2.5

    Maccheroni e formaggio

    2.5

    Riso integrale

    2.3

    Spaghetti

    2.2

    Riso bianco

    2.1

    Pizza

    2.1

    Arachidi

    2.0

    Gelato

    1.8

    Pane bianco

    1.8

    Uvetta essicata

    1.6

    Snack tipo Snickers, Mars

    1.5

    Miele

    1.4

    Saccarosio

    1.3

    Glucosio

    1.3

    Patatine

    1.2

    Burro

    0.5

    La tabella fornisce solo un esempio del FF per alcuni tipi di cibo. Sul sito della Nutrition Data è possibile cercare altri cibi ed il loro relativo FF. Alcuni cibi con nomi simili possono avere un FF molto diverso tra loro, a seconda dei loro ingredienti. Ad esempio, i popcorn preparati senza burro hanno un maggiore FF dei popcorn preparati con questo ingrediente.


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      Lettera a Silvia

      Ho incominciato a ridurre i cibi, all’inizio solo la quantità e poi un po’ alla volta a eliminarne alcuni tipi. Ogni volta che ne eliminavo alcuni iniziava una nuova tappa di esclusione.

      Ho incominciato a ridurre i cibi, all’inizio solo la quantità e poi un po’ alla volta a eliminarne alcuni tipi.

      Ogni volta che ne eliminavo alcuni iniziava una nuova tappa di esclusione. Dovevo provare e riuscire ogni giorno a dirmi: “Brava, ce l’hai fatta, prova ad essere ancora più forte”.

      
Mettere a tacere la fame mi dà forza e mi fa sentire potente.

      Dimagrire sempre di più è la conferma che sto riuscendo a dominare la forza della ragione che mi dice che forse sarebbe meglio mangiare qualcosa.

      E’ bello dimagrire e sentirsi dire” che magra che sei.” Mi sono tutti addosso, si preoccupano per la mia salute, ma il piacere del controllo, del digiuno, mi gasa a tal punto che mi convinco che smetto quando voglio, che non arriverò al baratro perché sono forte e so decidere.

      Una sfida con gli altri e con me stessa. Voglio battere qualsiasi record, come uno sportivo che cerca sempre di abbattere il suo record personale.
      Ho trovato la Forza, ma improvvisamente mi ritrovo senza interessi, sola e senza pensieri, anzi con uno solo, quello del cibo.
      Il cibo che desideravo ma che non dovevo assumere. Adesso non lo desidero più anzi lo detesto, lo odio, mi ripugna e se mai dovessi assumerlo sarei pronta a vomitarlo perché non debbo, non posso.

      Mi sento stanca, triste, piango e sento freddo. La bellezza è diventata bruttezza, la forza debolezza e vorrei non aver iniziato mai. Adesso non vorrei, ma ci sono dentro. Chiedo aiuto, ma sento di non farcela. Vorrei tanto non aver iniziato mai.

      
L’anoressia è un fiume in piena che ti travolge nel momento più bello, quando pensi che in fondo dimagrire è bello e che puoi smettere in qualsiasi momento. Eri entrata nel fiume del digiuno solo per fare un bagno e perdere alcuni chili. 
Avevi deciso di smettere di fare il bagno, ma all’improvviso il fiume si è ingrossato, la corrente è diventata sempre più forte e ti ha travolta. 
Fa che sia un sogno, un brutto sogno, un incubo ma solo un sogno.
      
Svegliati adesso che stai solo facendo il bagno.
 Svegliati prima che il fiume si ingrossi e la corrente ti travolga.
 Svegliati prima di entrare nel baratro dell’Anoressia.

      
Luigi Oliva


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        La regolazione dell’assunzione di cibo

        È assodato che sulla regione dell’ipotalamo confluiscono una serie di segnali, esterni e interni, che modulano la sensazione di fame o sazietà in condizioni fisiologiche.

        Alimentarsi è un comportamento complesso il cui controllo è affidato a componenti contingenti, come ad esempio la sensazione di fame o l’odore del cibo e a componenti consolidate nella sfera cognitiva del soggetto, come la memoria, i riflessi condizionati e le abitudini quotidiane.

        L’insieme di questi fattori, cui contribuiscono anche le condizioni fisiche dell’organismo (termogenesi, glicemia ecc.), innesca nell’individuo l’approccio al cibo.

        Quell’appagante senso di sazietà

        Nella “cascata della sazietà” Bludell, autore di questo modello, raccoglie l’insieme di meccanismi sensoriali, cognitivi, post-ingestione e post-assorbimento che regolano il senso di fame e l’inibizione dell’alimentazione.

        Il contatto del cibo con la cavità orale ingenera uno stimolo positivo per il comportamento alimentare, che viene inibito retroattivamente dalla sensazione degli alimenti giunti nello stomaco.

        Questo meccanismo riflesso è fortemente influenzato dalle stimolazioni centrali che annullano gli automatismi che farebbero avvertire il senso di sazietà al punto da portare agli eccessi alimentari.

        L’appetito è una funzione vitale così fondamentale la cui regolazione non può essere affidata a un singolo sistema. Anche se i meccanismi fini di questa regolazione non sono completamente noti in tutti i dettagli, è assodato che sulla regione dell’ipotalamo confluiscono una serie di segnali, esterni e interni, che modulano la sensazione di fame o sazietà in condizioni fisiologiche.

        Il controllo dell’accumulo e dell’uso dell’energia nell’organismo umano è affidato anche a segnali che provengono dagli stessi adipociti.

        Molecole come insulina e leptina agiscono centralmente per incrementare il dispendio energetico e ridurre l’introito alimentare.

        Come tutti gli altri segnali a partenza viscerale già descritti, essi devono essere inquadrati in un contesto più ampio di meccanismi di regolazione.

        I circuiti neuormonali coinvolti nella regolazione dell’assunzione di cibo sono diversi. Essi convogliano messaggi a provenienza viscerale (es. glucocettori, olfatto, vista ecc.) o a provenienza corticale (es. messaggi cognitivi, condizionamenti ecc.) sulle strutture ipotalamiche.

        La somma di queste influenze, di inibizione o di stimolazione, ha come risultato la ricerca e l’assunzione (o il rifiuto) del cibo e un aumento o una diminuzione del dispendio energetico (regolato anch’esso pare dagli stessi centri ipotalamici che modulano l’appetito).

        Riassumendo, le varie afferenze nervose vengono mediate da diversi neurotrasmettitori o sostanze a funzione eccitatoria o inibente.

        Fra le seconde vi è la serotonina, la cui secrezione a livello sinaptico provoca l’inibizione dell’assunzione di cibo.
        I farmaci serotoninergici, com’è d’altra parte noto, agiscono sul versante dell’assunzione dell’energia e possono aiutare a ristabilire fisiologiche abitudini alimentari, rendendo più precoce la sazietà.


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          Anoressia Nervosa – Criteri Diagnostici

          Analizziamo le caratteristiche che determinano il disturbo. Prima fra tutte il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per età e statura. E’ considerato sottopeso un individuo con un peso corporeo al di sotto dell’85% del peso normale per età e altezza.

          CRITERI DIAGNOSTICI

          (DSM IV; American Psychiatric Association, 1994)

          A) Rifiuto di mantenere un peso corporeo al di sopra del peso minimo normale per l’età e la statura (per esempio perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto; oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo di crescita in altezza, con la conseguenza che il peso corporeo resta al di sotto dell’85% di quello previsto).

          B) Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso.

          C) Disturbo del modo in cui il soggetto ha esperienza del proprio peso e della forma del proprio corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sulla valutazione di se stesso (autostima), o negazione della gravità del sottopeso.

          D) Nelle donne dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi.

          A seconda del valore di BMI, possiamo suddividere l’anoressia nervosa in tre gradi di intensità:

          
Lieve: BMI ≥ 17

          Moderata: BMI 16- 16,99

          Severa: BMI 15-15,99 
Estrema: BMI < 15

          Panoramica diagnostica

          Analizziamo le caratteristiche che determinano il disturbo. Prima fra tutte il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per età e statura. E’ considerato sottopeso un individuo con un peso corporeo al di sotto dell’85% del peso normale per età e altezza. In alternativa è possibile fare riferimento all’indice della massa corporea (BMI, Body Mass Index) calcolato come rapporto tra peso in chilogrammi e quadrato dell’altezza espressa in metri, ponendo come limite minimo un BMI minore od uguale a 17,5.

          È inutile dire che il clinico deve valutare anche la costituzione e la storia anamnestica del peso corporeo di ogni singolo individuo nello stabilire un peso minimo normale.

          La perdita di peso è primariamente ottenuta riducendo la quantità totale di cibo assunta, secondariamente limitando a poco a poco le categorie dei cibi.

          In aggiunta possono essere messi in atto altri comportamenti allo scopo di perdere peso quali l’uso spropositato di lassativi, l’eccessiva attività fisica o il vomito autoindotto.

          Lo stato d’animo è spesso caratterizzato da intenso timore di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso e si continua a dimagrire. Vi è inoltre quasi sempre un’alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso e/o la forma corporea, o un’eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o un rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso: questo è possibile perché spesso i soggetti presentano un’alterazione dell’immagine corporea per ciò che riguarda la loro forma e le loro dimensioni.

          Forti di queste convinzioni, la perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista e un segno di autodisciplina ferrea, mentre l’aumento diviene una perdita inaccettabile delle capacità di autocontrollo. È frequente, infine, nei soggetti di sesso femminile in fase post-puberale, l’amenorrea, ovvero l’assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi.

          Al momento attuale, l’anoressia si manifesta soprattutto nelle femmine (93% dei casi), mentre fino a dieci anni fa si riportavano indicazioni molto prossime al 99%: l’anoressia maschile è quindi una realtà in crescita. Le ricerche su campioni di diverse popolazioni hanno dimostrato incidenze che vanno da un caso su 800 ad uno su 100 ragazze di età tra i 12 e i 18 anni.

          L’anoressia nervosa si presenta all’inizio come il desiderio di intraprendere una dieta dimagrante da parte di persone, per la maggior parte donne, in leggero sovrappeso, che affermano di sentirsi notevolmente grasse. Accade che, al contrario delle molte persone che dopo poco perdono l’entusiasmo, questi soggetti continuano a seguire in modo inflessibile le norme dietetiche adottate e a restringere progressivamente l’alimentazione, noncuranti del decadimento fisico a cui questo regime li porta.

          All’inizio della dieta i soggetti provano una forte fame, ma imparano ben presto a controllare questo stimolo e a sentirsi per questo forti d’animo, come se lo spirito trionfasse sulla carne. Potremmo dire che imparano ad attribuire alla fame e al calo di peso un forte valore di rinforzo, mantenendo invece come punizione estrema l’immagine del proprio corpo gonfio e grasso. Vivono come umiliante la sensazione di alimentarsi, e come inconcepibile il fatto di essere viste mangiare.

          Il soggetto anoressico è proteso alla spiritualità e alla purezza, desidera attenzioni ma “guai all’essere toccato”. Sembra trarre dal proprio digiuno e dimagrimento una sferzata di energia, è attiva in tutti i campi, raramente sta seduta o ferma. L’obiettivo è di non cedere e di dimostrare sempre la propria forza. Vi è l’idea che se si è magri, si sarà accettati e si sarà onnipotenti.

          In realtà tutti i comportamenti che verranno attuati per raggiungere questi obiettivi non faranno che accrescere l’isolamento, il malessere e il senso di diversità.

          Il soggetto generalmente giunge all’osservazione medica sotto pressione dei familiari quando la perdita di peso si fa marcata. Se è il soggetto stesso a chiedere aiuto, di solito avviene per il disagio relativo alle conseguenze somatiche e psicologiche del disturbo: raramente, infatti, questi individui risultano preoccupati per il dimagrimento di per sé.

          Spesso, infatti, manca la consapevolezza della malattia, oppure questa viene fortemente negata cosicché gli individui divengono inaffidabili anche solo per la semplice raccolta anamnestica. E’ quindi necessario raccogliere informazioni dai familiari o da persone vicine al paziente al fine di valutare la reale entità della perdita di peso e le altre manifestazioni del disturbo.

          In base alla presenza o meno nell’episodio attuale di regolari abbuffate o di condotte di eliminazione si utilizzano due sottotipi:

          • Con restrizioni: quando il soggetto non presenta regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione. La perdita di peso è ottenuta soprattutto grazie alla dieta, il digiuno e l’attività fisica.
          • Con abbuffate e/o condotte di eliminazione: quando il soggetto presenta regolarmente abbuffate e/o condotte di eliminazione. In alcuni casi sono assenti le abbuffate, e il soggetto mette ugualmente in atto queste metodiche seppur ingerendo quantità minime di cibo.

          Manifestazioni e disturbi associati

          Quando gli individui affetti da anoressia nervosa raggiungono un peso molto basso possono presentare sintomi come depressione, ritiro sociale, insonnia, diminuito interesse per il sesso ed irritabilità.

          Per fare una diagnosi di disturbo dell’umore è necessario tuttavia che il soggetto soddisfi i criteri diagnostici anche dopo il parziale o totale recupero del peso corporeo.

          Altra caratteristica presente è la tendenza a sviluppare sintomi ossessivo-compulsivi, relativi o meno al rapporto col cibo. La diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo si può fare solamente se le ideazioni sono centrate su temi che non riguardano il cibo, la forma fisica o il peso. Altre manifestazioni associate all’anoressia nervosa sono il disagio nel mangiare in pubblico, la rigidità mentale, il bisogno di tenere sotto controllo l’ambiente circostante, i sentimenti di inadeguatezza e la ridotta spontaneità nei rapporti.

          Il sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione presenta più frequentemente tendenza a problemi di controllo degli impulsi e di conseguenza è più soggetto a sviluppare caratteristiche quali abuso di alcolici, labilità emotiva, eccessiva attività sessuale, ecc.


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            Anoressia nervosa: panoramica e diagnosi

            Una panoramica dell’anoressia nervosa consente di conoscere i sintomi e le caratteristiche di questo celebre disturbo alimentare, e di riconoscerne i sintomi prevenendone l’evoluzione nei soggetti a rischio.

            Tra le caratteristiche principali dell’anoressia nervosa c’è innanzitutto l’incapacità, o per meglio dire il rifiuto del soggetto di mantenere il proprio peso corporeo al di sopra o uguale  al peso minimo considerato normale per età e statura.

            Ricordiamo che viene considerato sottopeso un individuo con un peso corporeo al di sotto dell’85% del peso considerato normale per età e altezza.

            In alternativa è possibile fare riferimento all’indice di massa corporea (Body Mass Index) calcolato come rapporto tra peso in chilogrammi e quadrato dell’altezza espressa in metri, ponendo come limite minimo un BMI minore od uguale a 17,5. E’ inutile dire che il clinico deve valutare anche la costituzione e la storia anamnestica del peso corporeo di ogni singolo individuo nello stabilire un peso minimo normale.

            La perdita di peso è primariamente ottenuta riducendo la quantità totale di cibo assunta, secondariamente limitando a poco a poco le categorie dei cibi. Possono inoltre essere messi in atto altri comportamenti allo scopo di perdere peso quali l’uso spropositato di lassativi, l’eccessiva attività fisica o il vomito autoindotto.

            Lo stato d’animo è spesso caratterizzato da intenso timore di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso e si continua a dimagrire.

            Vi è inoltre quasi sempre o un’alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso e/o la forma corporea: o un’eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure un rifiuto ad ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso. Ciò è possibile perché spesso i soggetti presentano un’alterazione dell’immagine corporea per ciò che riguarda la loro forma e le loro dimensioni.

            Forti di queste convinzioni, la perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista e un segno di autodisciplina ferrea, mentre l’aumento diviene una perdita inaccettabile delle capacità di autocontrollo.

            E’ frequente infine nei soggetti di sesso femminile in fase post-puberale l’amenorrea, cioè l’assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi.

            Al momento attuale l’anoressia si manifesta soprattutto nelle femmine (93% dei casi), mentre fino a dieci anni fa si riportavano indicazioni molto prossime al 99%: l’anoressia maschile è quindi una realtà in crescita.

            Le ricerche su campioni di diverse popolazioni hanno dimostrato incidenze che vanno da un caso su 800 a uno su 100 ragazze di età tra i 12 e i 18 anni.

            L’anoressia nervosa si presenta all’inizio come il desiderio di intraprendere una dieta dimagrante da parte di persone, per la maggior parte donne, in leggero sovrappeso, che affermano di sentirsi notevolmente grasse. Accade che, al contrario delle molte persone che intraprendono diete dimagranti e dopo poco perdono l’entusiasmo, questi soggetti continuano a seguire in modo inflessibile le norme dietetiche adottate e a restringere progressivamente l’alimentazione, noncuranti del decadimento fisico cui questo regime li porta.

            All’inizio della dieta i soggetti provano una forte fame, ma imparano ben presto a controllare questo stimolo e a sentirsi per questo forti d’animo, come se lo spirito trionfasse sulla carne. Potremmo dire che imparano ad attribuire alla fame e al calo di peso un forte valore di rinforzo, mantenendo invece come punizione estrema l’immagine del proprio corpo gonfio e grasso. Vivono di conseguenza come umiliante la sensazione di sentirsi in colpa alimentandosi, e come inconcepibile il fatto di essere viste mangiare.

            Il soggetto anoressico è proteso alla spiritualità e alla purezza, desidera attenzioni ma guai all’essere toccato. Sembra trarre dal proprio digiuno e dimagrimento una sferzata di energia, è attiva in tutti i campi, raramente sta seduta o ferma. L’obiettivo è di non cedere e di dimostrare sempre la propria forza. Vi è l’idea che se si è magri, si sarà accettati e si sarà onnipotenti. In realtà tutti i comportamenti che verranno attuati per raggiungere questi obiettivi non faranno che accrescere l’isolamento, il malessere e il senso di diversità.

            Il soggetto generalmente giunge all’osservazione medica sotto pressione dei familiari quando la perdita di peso si fa marcata. Se è il soggetto stesso a chiedere aiuto, di solito avviene per il disagio relativo alle conseguenze somatiche e psicologiche del disturbo: raramente infatti questi individui risultano preoccupati per il dimagrimento di per sé. Spesso infatti manca la consapevolezza della malattia, oppure questa viene fortemente negata cosicché gli individui divengono inaffidabili anche solo per la semplice raccolta anamnestica. E’ quindo necessario raccogliere informazioni dai familiari o da persone vicine al paziente al fine di valutare la reale entità della perdita di peso e le altre manifestazioni del disturbo.

            In base alla presenza o meno nell’episodio attuale di regolari abbuffate o di condotte di eliminazione si utilizzano due sottotipi:

            • con restrizioni: quando il soggetto non presenta regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione. La perdita di peso è ottenuta soprattutto grazie alla dieta, il digiuno e l’attività fisica;
            • con abbuffate e/o condotte di eliminazione: quando il soggetto presenta regolarmente abbuffate e/o condotte di eliminazione. In alcuni casi sono assenti le abbuffate, e il soggetto mette ugualmente in atto queste metodiche seppur ingerendo quantità minime di cibo.

            Criteri diagnostici DSM5

            A. Restrizione dell’introito energetico rispetto al fabbisogno, che porta a un peso significativamente basso in relazione all’età, al sesso, alla fase di sviluppo e alla salute fisica. Si definisce peso significativamente basso quello inferiore al peso minimo ritenuto nella norma o, per quanto riguarda i bimbi e gli adolescenti, quello inferiore al peso minimo atteso.

            B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, o comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche quando si ha un peso significativamente basso.

            C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di peso basso.

            Due sottotipi:
            – Con Restrizioni durante gli ultimi tre mesi
            – Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione durante gli ultimi tre mesi.

            Lieve: BMI ≥ 17
            Moderata: BMI 16- 16,99
            Severa: BMI 15-15,99
            Estrema: BMI < 15


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              Disturbi alimentari o somatoformi?

              I soggetti con disturbo alimentare, essendo caratterizzati dall’incapacità di riconoscere le proprie emozioni, esprimono ciò che provano attraverso il corpo

               Il disturbo somatoforme

              Mente e corpo sono due entità spesso considerate come separate che invece sono strettamente collegate e interdipendenti l’una dall’altra; la psiche rappresenta infatti una complessa funzione del nostro corpo inscindibile da esso, e insieme formano un unico sistema integrato, influenzato da fattori biologici, psicologici, sociali.

              Il soggetto esprime un disagio attraverso il corpo: un tentativo inconsapevole di gestire una situazione di conflitto utilizzando l’organismo o parti di esso.

              Molti disturbi hanno una matrice psichica come ad esempio alcune forme di allergia, intolleranze alimentari, herpes, cistiti, coliti, disturbi gastro-intestinali, sintomi pseudo-neurologici, bruxismo, asma, dolore cronico, emicranie, nevralgie, contratture muscolari, ecc.

              È comunque doveroso precisare che la somatizzazione di per sé non è necessariamente patologica, può essere considerata come una modalità di risposta alle sollecitazioni ed agli stress della vita: si parla di veri e propri disturbi quando l’intensità e la frequenza di questo tipo di reazione divengono tali da generare una compromissione significativa del funzionamento della persona, quando creano un eccessivo ricorso all’assistenza sanitaria, quando il problema diventa invalidante.

               

              Gessica Cervesato-psicoterapeuta-

               

               

              Dalla spesa alla tavola

              Fare la spesa in maniera consapevole e ragionata permette di guadagnare
              salute perché ciò che si acquista sarà ciò che si ritroverà a tavola, quindi
              una scelta sana a monte fa portare a casa un cibo sano.

              La dieta inizia al supermercato!

              Fare la spesa in maniera consapevole e ragionata permette di guadagnare
              salute perché ciò che si acquista sarà ciò che si ritroverà a tavola, quindi
              una scelta sana a monte fa portare a casa un cibo sano.
              Pertanto, quando si fa la spesa è utile adottare alcune strategie:
              • Comprare a stomaco pieno
              • Comprare con una lista preparata prima e pensando
              all’organizzazione di un pasto equilibrato
              • Non farsi tentare da maxi offerte (attenzione al binomio
              quantità-qualità)
              • Comprare cibo che richiede preparazione (evitare i cibi
              pronti)
              • Preferire prodotti freschi
              • Leggere con attenzione le etichette alimentari
              • Evitare di fare grandi provviste

               

              Preparazione del cibo

              • Non cucinare quando si ha molta fame
              • Evitare di assaggiare il cibo mentre si cucina: senza accorgersi si
              introducono calorie!
              • Cucinare con minor grassi possibili
              • Usare sempre olio a crudo, dopo cottura
              • Preparare il “soffritto” usando acqua, brodo vegetale o vino
              • Attenzione all’uso del sale
              • Insaporire gli alimenti utilizzando spezie (peperoncino, curry, etc.)
              ed erbe aromatiche (rosmarino, timo, alloro, prezzemolo, basilico)
              • Evitare la frittura e utilizzare metodi di cottura che non richiedano
              l’aggiunta di olio: alla griglia, al vapore, al forno, bollitura.

              Tratto da ETOS: manuale di educazione terapeutica orientata e strutturata
              Ambulatorio Dott. Oliva


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                Il rilassamento

                Il rilassamento è uno stato di calma e tranquillità, caratterizzato dalla mancanza di attivazione fisiologica (arousal) e dalla mancanza di ansia sia a livello fisico (tensione muscolare, tachicardia, irrequietezza, ecc.) che a livello mentale (pensieri che si affollano, paura, ecc.)

                 

                L’essere umano ha bisogno di momenti di tranquillità e di pause, in quanto un sovraccarico continuo causa stress ed aumenta il rischio di sviluppare ansia e disturbi emotivi. Imparare una tecnica di rilassamento è molto importante per bilanciare le tensioni accumulate nella vita odierna e ricaricarsi. Gli obiettivi delle tecniche di rilassamento sono:

                • Aumento delle sensazioni di benessere
                • Abbassamento dell’eccitabilità (ansia, tachicardie)
                • Aumento dei processi di consapevolezza
                • Rilassamento del sistema cardiocircolatorio
                • Diminuzione della stanchezza
                • Recupero più rapido delle energie in esaurimento

                Il rilassamento è uno stato di calma e tranquillità, caratterizzato dalla mancanza di attivazione fisiologica (arousal) e dalla mancanza di ansia sia a livello fisico (tensione muscolare, tachicardia, irrequietezza, ecc.) che a livello mentale (pensieri che si affollano, paura, ecc.). Se si è ansiosi o si soffre di stress probabilmente il sistema nervoso autonomo simpatico, o sistema “attacco o fuga”, è molto più attivo. Non si può inibire il sistema simpatico perché è il sistema deputato ad attivarci ed a metterci in allarme; tuttavia un’altra parte di sistema nervoso autonomo, il parasimpatico, fa il contrario: ci fa rallentare il cuore, ci rende calmi, ci fa respirare più lenti e ci fa sentire tranquilli.

                Attivando il sistema parasimpatico possiamo allora facilmente indurre un rilassamento generalizzato.
                Allenando questo sistema si può imparare a modulare la risposta allo stress.

                Dott.ssa Raimondi Alessia -psicoterapeuta


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