La trasgressione ci aiuta

Stare a dieta non significa soffrire. Non può, non deve essere un periodo di tristezza e privazioni. Al contrario, quel cibo che ci piace tanto può essere inserito nel piano dietetico in modo da controllarne l’assunzione ed equilibrarne le calorie.

Mettersi a dieta è spesso una decisione sofferta perché tornano alla mente tutti i fallimenti dietetici precedenti e spesso si prova, si tenta, si inizia una dieta sperando che sia la volta buona e soprattutto che sia l’ultima.

Quella che ci farà dimagrire una volta per tutte.
Così però non è, perché non lo è quasi mai quando si dimagrisce facendo una dieta rigida, quella cioè che ci impone uno schema fisso dal quale non bisogna assolutamente uscire.

Schema rigido, regole ferree e desiderio di cibo proibito, mettono a dura prova la nostra volontà. Nasce così la voglia di trasgressione, si perde il controllo e si entra in una fase di ’non dieta’ dove si ricomincia a mangiare o meglio a rimpinzarsi di cibo e, di cibo anche inutile. Si mangia senza controllo anche se ci si era ripromessi di non farlo più. Non ci si è riusciti e quindi ci si sente in colpa.

L’esperienza dei sensi di colpa, ripetuta nel tempo, porta all’instaurarsi e al perpetuarsi di pensieri fallimentari, depressivi che spesso sono essi stessi causa di una eccessiva ricerca di cibo, che porta inevitabilmente ad un aumento di peso.
Aumento di peso che di per sè è grave, ma forse sono di gravità maggiore i danni che questo ulteriore fallimento crea a livello psicologico.

Chi ha vissuto l’esperienza dei sensi di colpa sa bene come diventa sempre più difficile riprovare un’altra dieta. Nasce, allora, l’apparente accettazione del proprio aspetto fisico,dei propri detestabili chili di troppo; è questa apparente calma che nasconde travagli interiori e che porta all’appagamento del cibo, al mangiare senza controllo, alla non dieta. La non osservanza di nessuna regola ci fa vivere meglio perché solo così, se non esiste la regola, non può esserci la trasgressione.
Ma trasgredire non solo non va evitato ma diventa utile.

La trasgressione va prevista, controllata e contenuta, non evitata. Se posso trasgredire, la dieta diventa non più uno schema fisso fine a se stesso, ma uno strumento finalizzato a modificare lo stile di vita.
Il programma dimagrante che diventa anche e principalmente di mantenimento è dato dalla regola che prevede la trasgressione. Debbo cioè imparare a controllare l’assunzione di cibo allenandomi alla regola e alla gestione della trasgressione.

Il programma alimentare che prevede dieta e trasgressione apparentemente dà un dimagrimento di entità minore rispetto all’osservanza di una dieta da 800 calorie e ciò sicuramente avviene nelle prime settimane ma nel lungo periodo cioè dopo qualche mese, mentre la dieta da 800 calorie ha sì fatto perdere dei chili ma li ha fatti anche recuperare, il programma basato sul controllo alimentare avrà dato non solo una perdita di peso più o meno importante ma anche e principalmente una educazione alimentare e comportamentale. Questo avrà modificato il nostro modo di pensare dietologico, che ci permetterà di non cadere nella trappola dei sensi di colpa che ci portano verso un’obesità psicogena cronica o peggio ancora verso l’anoressia e la bulimia dove il vomito acquista un significato liberatorio sia del cibo che di quello che rappresenta.

Vanno evitati dunque tutti i metodi dimagranti che tendono a colpevolizzare chi -suo malgrado- non riesce a stare a dieta, va cercato viceversa chi può aiutarci ad acquisire un modo di pensare dietologico corretto che è fatto di conoscenze vere, scientifiche, rapportate sempre e solo alle proprie esigenze metaboliche. Solo un nutrizionista esperto può insegnarci a soddisfarle per sempre, perché solo così, potremo diventare magri e continuare ad esserlo fin quando ci andrà.


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    Disturbo dell’immagine corporea

    Il conflitto tra i mass media e la fisiologia umana porta inevitabilmente sempre più persone, soprattutto donne, ad essere insoddisfatte della propria immagine corporea.

    È noto da tempo come il contesto culturale di appartenenza e i mass media siano elementi determinanti per la formazione degli ideali, delle convinzioni e delle aspettative dell’individuo, naturalmente anche quelle riguardanti l’immagine corporea, l’alimentazione e il peso.

    Tuttavia, i protagonisti del mondo della moda e dello spettacolo offrono modelli estetici irrealizzabili da gran parte della popolazione, oltretutto celando le restrizioni alimentari, la costanza di esercizio fisico e le operazioni di trucco spesso indispensabili per ottenere il risultato estetico desiderato.

    Così il conflitto tra i mass media e la fisiologia umana porta inevitabilmente sempre più persone, soprattutto donne, ad essere insoddisfatte della propria immagine corporea.

    Ma, ancor più grave, questa cultura genera  nell’individuo una sensazione altamente marcata di inadeguatezza rispetto ai modelli estetici proposti, favorendo l’insinuarsi di un disturbo dell’immagine corporea che in realtà è indipendente dalla forma corporea stessa.

    Il soggetto sviluppa una sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico per la quale ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nei limiti della norma. Le conseguenze sono la messa in atto di strategie quali la restrizione alimentare, le condotte di eliminazione, l’iperattività fisica, ecc., il controllo eccessivo ed esasperato delle forme corporee e i tentativi esasperati di camuffare i difetti fisici fino anche ad intervenire chirurgicamente.

    Si può modificare l’immagine corporea?

    Grazie ad un recente studio della rivista Psychology Today sembra che la risposta possa essere affermativa. Ecco qui di seguito alcuni suggerimenti utili nel tentativo di migliorare la propria immagine corporea:

    • sensibilizzarsi a criteri di autostima che vadano oltre l’apparenza fisica e che valorizzino altre caratteristiche e modalità di affermazione del proprio successo;
    • cercare di apprezzare il proprio corpo, per esempio valutandolo per la sua capacità di funzionamento; dedicarsi ad attività che possano favorire lo stare bene con se stessi: attività sportive, hobby, ecc.; ridurre l’esposizione ad immagini dannose provenienti dai mass media, per esempio cercando di limitare il tempo passato a sfogliare riviste di moda; dedicarsi all’esercizio fisico con aspettative diverse da quelle esclusivamente legate al calo di peso e al miglioramento delle forme corporee; identificare ed eliminare i pensieri negativi riguardanti il proprio corpo.

    Sia le ricerche che le esperienze cliniche hanno largamente dimostrato che sentirsi a proprio agio con il proprio corpo presenta innumerevoli vantaggi anche quando l’individuo non corrisponde agli ideali culturali di bellezza.


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      La Linea della Vita

      “La linea di vita” è uno strumento condiviso dall’equipe in quanto durante il percorso di cura del paziente può esser consultato da tutti i professionisti.

       

      Riporto una delle attività proposte nel Centro Medico del Dott. Oliva dove lavoro come Case Manger

      Dopo la prima visita al paziente viene proposta una prima fase valutativo-diagnostica della durata di un mese durante il quale vengono effettuati degli incontri settimanali con i diversi professionisti del centro, all’interno di questa fase è inoltre prevista un’attività che viene svolta dalla Case Manager in cui viene realizzata la “Linea di vita”. Quest’attività prevede 2 incontri, lo scopo è quello di raccogliere tutti gli eventi di vita della persona partendo dal “qui ed ora”, ovvero dal contesto attuale, per poi passare all’infanzia e pian piano ricostruire tutti gli eventi che si sono presentati tra il punto di partenza e il punto d’arrivo.

      Utilità per il paziente

      Raccogliere gli eventi di vita e riportali graficamente su una linea aiuta la persona ad assumere consapevolezza su cosa è accaduto nei diversi periodi della sua esistenza e come questi possano aver caratterizzato il suo rapporto con il cibo, l’andamento del peso, la percezione del proprio corpo. La consapevolezza deriva dall’avere di fronte a sé la propria vita disegnata in modo chiaro e ordinato, aspetto non sempre presente nelle persone. Il racconto delle storie di vita a volte è confuso, sono storie in cui non è presente un ordine cronologico dei fatti.  La chiarezza viene fatta nel momento in cui ci si sofferma a pensare e magari aiutati dai famigliari o da qualche ricordo si riesce a ricostruire la propria vita.

      Questa tecnica permette di associare l’evento con la tonalità emotiva che caratterizzava il momento storico in cui è avvenuto il medesimo evento, questo per comprendere quale significato ha avuto quell’evento per la persona.

      In alcuni casi quando la richiesta è il dimagrimento, realizzare la linea di vita permette di comprendere quali difficoltà portano la persona ad aumentare di peso, aspetto fondamentale perché in questo modo è possibile dare delle indicazioni adeguate nella gestione di situazioni che creano disagio. Nel caso in cui sia presente un disturbo alimentare la linea di vita serve per capire in primis quale significato assume la sintomatologia all’interno dei contesti di vita della persona e comprendere da dove abbia avuto origine il malessere.

       

      Utilità per la Case Manager

      Questa attività permette alla Case Manager, in quanto referente dei casi, di conoscere la persona, ascoltarla in modo da cogliere le esigenze e i bisogni che anche indirettamente questa potrebbe trasmettere.

       

      Utilità per l’equipe

      “La linea di vita” è uno strumento condiviso dall’equipe in quanto durante il percorso di cura del paziente può esser consultato da tutti i professionisti.

      Attraverso questo strumento la case manager ha la possibilità di confrontarsi con gli altri operatori che seguono il paziente, dare informazioni che possono essere punti di partenza per i successivi interventi terapeutici o di aggiungere dati utili da integrare con quelli raccolti da altri professionisti.

       

      Gessica Cervesato-Psicoterapeuta-


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        Effetti nutraceutici del pesce azzurro

        Vengono definiti “azzurri” quei pesci che, oltre a caratterizzarsi per una colorazione blu scuro dorsale ed argentea ventrale, sono generalmente di piccole dimensioni ed abbondano nei nostri mari

        Vengono definiti “azzurri” quei pesci che, oltre a caratterizzarsi per una colorazione blu scuro dorsale ed argentea ventrale, sono generalmente di piccole dimensioni ed abbondano nei nostri mari. Di conseguenza, risultano solitamente molto economici ed è facile trovarli freschi sui banchi delle pescherie. Tra questi rientrano pesci come lo sgombro, la sardina, l’alice (o acciuga), l’aguglia e l’alaccia. Inoltre, sono considerati “pesci azzurri” anche molti pesci che, per dimensioni e forme, non hanno nulla in comune con quelli più conosciuti. Tra questi troviamo il pesce spada, il tonno, la lampuga, l’alalunga, la palamita e l’alletterato.

        Le proteine contenute nel pesce azzurro risultano più digeribili rispetto a quelle della carne a causa del minore contenuto in tessuto connettivo.

        Il pesce azzurro, inoltre, è ricco di sali minerali (Selenio, un potente antiossidante, Fosforo, Calcio, Ferro e Iodio) e vitamine (in particolare A e alcune vitamine del gruppo B).

        Considerato un tempo un pesce “povero”, il pesce azzurro è stato attualmente rivalutato grazie all’elevato contenuto di principi nutritivi essenziali per il nostro organismo.

        Ciò che rende il pesce azzurro un grande alleato del cuore contro le malattie cardiovascolari, tuttavia, è la sua componente lipidica, ricca di grassi “essenziali” omega-3: una famiglia di lipidi che contribuiscono ad incrementare il colesterolo “buono” e a ridurre, allo stesso tempo, quello “cattivo”.  Sono inoltre in grado di ridurre il rischio di trombosi inibendo l’aggregazione piastrinica, di migliorare la funzione endoteliale arteriosa ed endoteliale e di svolgere attività anti-aritmiche.

        Gli omega-3 svolgono un importante ruolo anti-infiammatorio nell’organismo, possono quindi risultare particolarmente utili per chi soffre di patologie infiammatorie come asma, artrite, colon irritabile, ecc.

        Gli studi affermano, inoltre, che la presenza di omega-3 nella dieta è importante per il mantenimento della funzionalità cerebrale e mantenere la buona salute della retina dell’occhio.

        Dato che gli acidi grassi omega-3 non vengono prodotti dal nostro organismo, è necessario introdurli con la dieta. Le linee guida dietetiche dell’American Heart Association raccomandano il consumo di pesce almeno due volte alla settimana.

        Esistono anche fonti alimentari di omega 3, alternative al pesce azzurro; per esempio ne risultano particolarmente ricchi i semi di lino, i semi di chia, le noci e la lecitina di soia.

         

        Giulia Puggioli-dietista-


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          La fibra alimentare

          Le fibre alimentari sono sostanze di origine vegetale facenti parte dei carboidrati non amidacei, che non vengono attaccate dagli enzimi gastro-intestinali e giungono inalterate nel colon dove vengono fermentate dalla flora batterica.

          Le fibre alimentari sono sostanze di origine vegetale facenti parte dei carboidrati non amidacei, che non vengono attaccate dagli enzimi gastro-intestinali e giungono inalterate nel colon dove vengono fermentate dalla flora batterica.

          Le fibre alimentari vengono suddivise in due grandi gruppi: fibre solubili e fibre insolubili in acqua.

          Entrambe intervengono, con differenti effetti, sia nei processi digestivi che in quelli intestinali.

          Le fibre solubili

          Sono caratterizzate da notevole idrofilia; a contatto con i liquidi queste fibre formano una sostanza gelatinosa che aderisce molto bene alle pareti dell’intestino.

          Le fibre solubili si trovano in diversi alimenti, fra i quali crusca di avena, orzo perlato, legumi, patate, albicocche, mele, riso integrale ecc.

          Queste fibre rallentano lo svuotamento gastrico (con conseguente aumento del senso di sazietà), rallentano il transito intestinale, facilitano l’eliminazione degli acidi biliari, riducono sia l’assorbimento che la produzione di colesterolo.

          Oltre a favorire un maggior controllo della stipsi idiopatica cronica (aumentano la viscosità della massa intestinale), le fibre solubili possono risultare di una certa utilità per quei soggetti che sono affetti da problemi di tipo metabolico e che potrebbero ricevere un beneficio da un assorbimento dei nutrienti più lento o più ridotto (il tipico caso è rappresentato da coloro che soffrono di diabete) e anche per coloro che stanno seguendo una dieta mirata alla riduzione del peso in quanto, come detto in precedenza, aumentano il senso di sazietà.

          Un’altra importante azione delle fibre solubili è quella di ridurre il rischio di contrarre tumori intestinali.

          Relativamente alla loro azione antitumorale, diversi sono gli scenari proposti per spiegare l’azione delle fibre, fra questi ne ricordiamo due:

          • produzione di acidi grassi a catena corta come, per esempio, l’acido acetico, l’acido propionico e l’acido butirrico; questi acidi, che sembrano possedere proprietà antitumorali, rappresentano la principale fonte energetica degli enterociti (le cellule dell’intestino) e aiutano a mantenere e migliorare il trofismo e la massa della mucosa dell’intestino.
          • il mantenimento di un pH intestinale ottimale, ciò impedirebbe alla flora intestinale nociva di svilupparsi e produrre metaboliti tossici, alcuni dei quali sembrano avere una qualche relazione con lo sviluppo di neoplasie intestinali.

          Le fibre insolubili

          Sono caratterizzate soprattutto dalla loro rimarchevole capacità di trattenere notevoli quantità di acqua e dal fatto di essere fermentate dalla microflora colonica.

          Le fibre insolubili sono presenti in diversi cibi fra i quali i cereali integrali, la crusca di grano, il pane integrale, l’orzo intero, le verdure, i fagioli, le fave, i piselli, il radicchio rosso, le melanzane, le carote, le pere ecc.

          Queste fibre aumentano la massa fecale e ne diluiscono il contenuto, accelerano il transito intestinale e riducono il tempo di contatto fra mucosa intestinale e sostanze potenzialmente dannose (tossiche, cancerogene ecc).

          Le fibre insolubili contribuiscono al miglioramento della regolazione delle funzioni intestinali e possono risultare utili a coloro che soffrono di stipsi spastica, diverticolosi, diverticolite e diarrea.

          Giulia Puggioli-dietista-

           


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            Sindrome dell’intestino irritabile (IBS): che fare?

            La cura

            L’approccio terapeutico può essere farmacologico e/o non farmacologico , questo dipende dalla severità dei sintomi, tuttavia è necessario istruire i pazienti sulla cronicità dei sintomi e sulla storia naturale della patologia caratterizzata da periodi di recrudescenza e remissione; i pazienti vanno rassicurati sulla natura benigna della patologia e anche del fatto che nonostante non ci siano alterazioni organiche oggettive i sintomi sono reali come sono reali i disagi e le sofferenze riferiti .

            L’approccio farmacologico prevede lassativi e fibre in caso di SII con alvo stitico, antidiarroici come la loperamide per rallentare il transito intestinale e migliorare l’assorbimento di acqua ed elettroliti in pazienti con diarrea, antispastici quali agenti antimuscarinici e bloccanti i canali del calcio per ridurre le risposte contrattili della muscolatura liscia a stimoli stressanti o postprandiali, antidepressivi triciclici, antibiotici non assorbibili e probiotici per modulare le risposte locali e sistemiche del SI, antiinfiammatori, modulatori serotoninergici quali gli agonisti recettoriali della serotonina per pazienti con SII con alvo stitico e attivatori dei canali del cloro che favoriscono la secrezione intestinale di acqua accelerando il transito colico e migliorando la funzionalità intestinale sempre per pazienti con SII ed alvo stitico.

            Per quanto riguarda i consigli relativi allo stile di vita le informazioni dovrebbero vertere sull’importanza del self menagement  e quindi incoraggiare i pazienti ad un’attività fisica regolare , a ritagliarsi dei momenti di relax e circa l’alimentazione la parola chiave per l’efficacia terapeutica è la personalizzazione dell’approccio terapeutico: è di frequente riscontro un’esacerbazione dei sintomi dopo l’assunzione di certi alimenti ,pertanto sarebbe utile chiedere al paziente la compilazione di un diario alimentare per circa 2-3 settimane riportando tutti i momenti in cui sono comparsi i sintomi o si sono aggravati e tutti gli episodi di stress emotivo.

            Comportamenti raccomandati:

            • Assumere pasti regolari, 3 pasti principali più due/tre spuntini dedicandovi un tempo adeguato;
            • Evitare di saltare i pasti o fare lunghe pause tra un pasto e l’altro;
            • Bere almeno 8 bicchieri di liquidi al giorno ,  tra acqua e altre bevande non contenenti caffeina;
            • Limitare il consumo di te e caffè a 3 tazze al giorno;
            • Ridurre l’assunzione di alcol e bevande gassate;
            • Limitare gli alimenti ad alto contenuto di fibra insolubile (farina integrale, farina o pane ad alto contenuto di fibre , crusca, cereali integrali, riso integrale) in quanto possono esacerbare la sintomatologia dolorosa addominale;
            • Ridurre l’assunzione di amido resistente che resiste alla digestione del piccolo intestino e raggiunge intatto il colon ( alimenti preconfezionati, precotti, orzo, patate cotte, banane poco mature, pane pasta e riso cotti e poi lasciati raffreddare);
            • Limitare la frutta fresca a 3 porzioni al giorno;
            • In caso di diarrea evitare il sorbitolo presente in gomme da masticare, bevande senza zucchero e prodotti dimagranti;
            • In caso di gonfiore e meteorismo assumere avena e semi di lino ( almeno un cucchiaio al giorno);
            • Per pazienti con alvo stitico e non,  regolare l’assunzione di fibra incrementandola gradualmente preferendo la fibra solubile; accompagnando sempre ad un’adeguata idratazione ed un’attività fisica regolare.Un ulteriore approccio di tipo alimentare è la dieta a basso contenuto di Fodmaps. Si tratta di molecole quali oligosaccaridi, disaccaridi ,monosaccaridi fermentabili e polioli che in soggetti predisposti creano disturbi intestinali compatibili con la SII;

            I carboidrati incriminati sono lattosio, fruttosio, fruttani, galattani e polialcoli; questo tipo di molecole vengono scarsamente assorbite e non digerite per poi essere fermentate a livello colico : si tratta di una condizione di malassorbimento.

            Il ridotto assorbimento può essere dovuto ai lenti meccanismi di trasporto attraverso l’epitelio intestinale (fruttosio) ,alla ridotta attività delle idrolasi sull’orletto a spazzola(lattosio), alla mancanza delle idrolasi(fruttani e galattani) e alle discrete dimensioni delle molecole che non riescono a passare per diffusione semplice (polialcoli) . Cosi lattosio, fruttosio, fos ,galattani e polialcoli non vengono assorbiti e provocano accumulo di gas ,metorismo ,distensione addominale, dolore e  diarrea.

            La dieta a basso contenuto di Fodmaps prevede la contemporanea restrizione di tutti gli alimenti che possono creare problemi ai pazienti con SII ed uno studio pubblicato nel 2014 (Diet low in Fodmaps reduces symptons of IBS.Gastroenterology 2014;146:67-75) ha messo in evidenza come la sintomatologia percepita dal paziente abbia presentato un miglioramento dopo un periodo di 21 giorni a regime low-FODMAP.

            Le fonti:

            Linee guida per la gestione della sindrome dell’intestino irritabile negli adulti. Antonino Cartabellotta, Anna Linda Patti , Franco Berti.

            La dieta funzionale

            Il paradosso delle diete dimagranti fortemente restrittive è che alla lunga diventano ingrassanti. 
Si perde peso per riacquistare più chili di quelli persi e in percentuale recuperare più grasso di quello iniziale.


            È meglio non iniziare mai una dieta dimagrante se non si hanno delle buone probabilità di poter mantenere il peso raggiunto.

            E allora, come fare? È questo il grande impegno che sta a cuore a chi si occupa di sovrappeso e diventa l’obiettivo prioritario nella terapia dell’obesità e delle sue coomorbilità.

            La dieta dimagrante va sostituita con la dieta funzionale

            La prima esclude i cibi cosiddetti “ingrassanti”, elenca i cibi da escludere, priva e penalizza. La seconda propone la giusta quantità di cibo sano e di alimenti che diventano farmaci in grado di creare salute.

            Si parla di nutraceutici, per mettere in evidenza le proprietà protettive e curative di elementi contenuti negli alimenti.

            Mangiare sano aiuta a pensare sano, evitando di cadere nella trappola delle idee disfunzionali che dalla dieta “dimagrante” portano al fallimento dietologico, causa di tanti malanni.

            La medicina dello stile di vita diventa la risposta semplice ed economica alle malattie del benessere. Uno stile di vita salutare ci protegge dal diabete, dalle malattie vascolari e da alcune forme di malattie tumorali.

            Senza fumo, eccesso di alcool, con una alimentazione funzionale e una attività motoria adeguata si può vivere più a lungo ma soprattutto meglio.
 La parola d’ordine è promuovere gli stili di vita salutari.

            La sedentarietà diventa uno dei fattori di rischio più sicuri e rappresenta l’obiettivo terapeutico principale nei dismetabolismi, quali il diabete e l’obesità, e nelle malattie vascolari
.

            Cos’è la sedentarietà e qual è il livello di attività motoria ottimale? Come si fa a stabilire la quantità di cibo da assumere?

            Ippocrate nel 463 A.C. già si poneva questi quesiti e affermava che se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute.

            Negli ultimi anni si è sempre di più imposta la necessità di misurare il fabbisogno energetico, ovvero la quantità di energia spesa per mantenere le funzioni vitali in condizioni basali.
 La ricerca tecnologica, inoltre, è riuscita a produrre microprocessori, derivati dalla nanotecnologia, in grado di monitorare lo stile di vita e la conseguente spesa energetica.

            La calorimetria indiretta è la strumentazione che misura il bisogno energetico basale, mentre accelerometri, sofisticati cardiofrequenzimetri e misuratori della dispersione termica quantificano la spesa energetica per le attività motorie giornaliere.

            Ippocrate pertanto oggi riceverebbe una risposta precisa ai suoi quesiti.
            La dieta funzionale parte dalla giusta prescrizione energetica per andare oltre le calorie e gli alimenti. Dagli alimenti si passa a considerare gli elementi, in particolare quelli buoni, in grado di modificare positivamente persino l’espressione genica.

            Geni buoni che emergono su quelli meno buoni

            La genetica si manifesta solo se trova un ambiente idoneo e di fronte ad una familiarità poco favorevole o a un riscontro di rischio 
metabolico o vascolare elevato deve nascere la speranza e quindi l’impegno ad assumere cibi sani da associare ad una attività motoria quotidiana, leggera e costante.

            Gli Omega 3 diventano un farmaco utile nelle trigliceridemie  e gli antiossidanti, come il resveratrolo del vino rosso o i bioflavonoidi delle verdure, sono consigliati perché in grado di prevenire e rallentare le malattie degenerative. 
L’acido folico riduce i valori di omocisteina che, se elevati, aumentano il rischio vascolare. 
Il giusto apporto di calcio nell’età della crescita aiuta a prevenire l’osteoporosi dell’età adulta. La fibra presente nelle verdure e nei cereali integrali ci protegge dal carcinoma del colon retto e migliora l’insulino resistenza, fattore causale della sindrome metabolica, che rappresenta un forte fattore di rischio cardiovascolare. Le vitamine (specie del gruppo B) e gli oligoelementi aiutano il metabolismo intermedio che migliora l’efficienza dell’organismo.

            Un organismo che è fatto per funzionare bene in presenza di un’adeguata attività motoria. Ci si muove per le necessità elementari, ma molto poco spontaneamente e a fatica per le attività programmate, sia ludiche che sportive.
 Siamo sempre più sedentari, nonostante le sempre più numerose evidenze scientifiche sul ruolo preventivo e curativo dell’attività motoria.
 Un recente studio mette in evidenza l’incidenza maggiore di tumore al seno tra donne obese sedentarie, rispetto a donne obese attive; per questo tipo di tumore l’attività motoria riveste un ruolo protettivo.

            L’attività motoria inoltre riduce i valori pressori, aumenta il colesterolo buono, riduce la glicemia, migliora lo stato dell’umore, contrasta lo stress e ci rende mentalmente più attivi.
 Diecimila passi è diventata la prescrizione a cui tutti dovremmo rapportarci. Passi, però, che se non sono fatti con una certa velocità e continuità, il più delle volte non sono idonei a far consumare quella quota energetica indispensabile a far “quadrare i conti”.

            Lo studio del movimento e dello stile di vita è alla base di qualsiasi programma di riabilitazione nutrizionale. Sofisticati sensori applicati direttamente sulla pelle possono monitorare per giorni i livelli di attività fisica, la qualità del sonno e più in generale lo stile di vita.
 Diagnosticare il livello di attività motoria per prescrivere su misura l’integrazione motoria.
 La giusta quantità di cibo e di nutrienti, associata ad un’adeguata attività motoria, è in grado di generare salute, intesa non come assenza di malattia, ma come percezione del benessere.

             


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              Guarda ciò che mangi: i colori della Salute

              Stagionalità e freschezza influenzano moltissimo i valori nutrizionali di frutta e ortaggi.

              Contengono inoltre alcune sostanze protettive specifiche, chiamate polifenoli e flavonoidi, responsabili della differente colorazione dei vegetali stessi.

              Per questo è importante, non solo privilegiare la quantità ma anche la varietà di frutta e ortaggi, per consentirci di assumere tutte queste importanti sostanze.

              Le diverse colorazioni possono essere raggruppate in 5 categorie: rosso, verde, bianco, giallo/arancio e blu/viola.

              Rosso

              Angurie, arance rosse, barbabietole, ciliegie, fragole, peperoni, pomodori, rape rosse, ravanelli.

              • Perché: contengono licopene e antocianine; sostanze ad affetto antiossidante.

              Giallo/Arancio

              Arance, limoni, mandarini, pompelmi, meloni, albicocche, pesche, kaki, nespole, carote, peperoni, zucca.

              • Perché: sono ricchi di beta carotene, vitamina C, flavonoidi e potassio.

              il betacarotene, che conferisce la tipica colorazione, è il precursore della vitamina A, vitamina coinvolta nel metabolismo del ferro e responsabile del corretto funzionamento del sistema immunitario, della capacità visiva e della pelle, della capacità visiva e della funzione del sistema immunitario nella normalità.

              Verde

              Asparagi, basilico, biete, broccoli, cavoletti di Bruxelles, cavoli, cavolo cappuccio, carciofi, cetrioli, cicoria, cime di rapa, insalata, rucola, prezzemolo, spinaci, zucchine, uva bianca, kiwi.

              • Perché: sono ricche di magnesio e acido folico; sostanze che contribuiscono al corretto funzionamento del sistema immunitario, del sistema nervoso e del metabolismo energetico, riducendo la sensazione di stanchezza e di affaticamento.

              Bianco

              Aglio, cavolfiori, cipolle, finocchi, funghi, mele, pere, porri, sedani.

              • Perché: garantiscono un apporto di potassio, composti solforati, polifenoli, flavonoidi, vitamina C e selenio.

              Blu-Viola

              Melanzane, radicchio, cavolfiore violetto, cavolo cappuccio rosso.

              Fichi, lamponi, mirtilli, more, ribes, prugne, uva nera

              • Perché: sono alimenti ricchi di antocianine, beta carotene, vitamina C, potassio e magnesio.

              Stagionalità e freschezza di un prodotto influenzano i valori nutrizionali di frutta e ortaggi. Preferire frutta e verdura di stagione ha diversi vantaggi. Significa consumare i prodotti che offrono le migliori qualità organolettiche, colti nel pieno dei loro valori nutritivi, coltivati in Italia e che, data la maggiore disponibilità di mercato, costano meno.

              In ogni stagione è possibile seguire la linea dei 5 colori, variando fra i prodotti della nostra terra e componendo, mese dopo mese, un menù sempre diverso.

              Proprio grazie alla stagionalità dei diversi prodotti è possibile rendere sempre varia e gustosa la nostra alimentazione.

              Giulia Puggioli-dietista-


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                Le diete vegetariane

                 Per vegetarianismo o vegetarismo si intende un insieme di diverse pratiche alimentari accomunate dalla rigorosa esclusione di alimenti derivati dall’uccisione di animali, sia terresti che marini, quali: carne, pesce, molluschi e crostacei.

                Con il termine vegetarianismo si intendono in realtà diverse tipologie di pratiche alimentari differenti; vediamole brevemente:

                Latto-ovo-vegetarianismo: esclude carne e pesce ma ammette il consumo dei prodotti animali indiretti, ovvero latte, formaggi, uova e miele.
                Latto-vegetarianismo: come il latto-ovo-vegetarianismo, ma esclude anche le uova.

                Veganismo: esclude qualsiasi alimento di origine animale (compresi latte e derivati, uova e miele) e ammette solamente alimenti di origine vegetale. È una pratica alimentare non bilanciata che sottopone ad un forte rischio di carenze alimentari.

                Macrobiotica: modello alimentare ideato agli inizi del Novecento dal giapponese George Oshawa sulla base della filosofia zen. Divide infatti gli alimenti secondo i principi orientali dello yin e dello yang ed esclude alimenti di origine animale.

                Crudismo e fruttarismo: si tratta di forme estreme di vegetarianesimo, basate sul consumo di soli alimenti vegetali crudi (e, nel caso del fruttarismo o fruttismo, di sola frutta). Sono diete assolutamente sbilanciate, prive di qualsiasi base salutistica scientifica.

                Le ragioni che comunemente sono alla base di una scelta vegetariana includono motivazioni etiche di rispetto per la vita animale, principi religiosi, preoccupazione per l’ambiente e ragioni salutistiche.

                Una scelta per la salute?

                Diversi studi mettono in luce come la scelta vegetariana apporti dei vantaggi nella prevenzione di diverse patologie croniche quali cancro, malattie cardiovascolari e diabete.
                È importante evidenziare però che non è indispensabile eliminare completamente la carne per alimentarsi in modo sano: il segreto sta nella giusta quantità.
                È sicuramente buona abitudine limitare il consumo di carni rosse ed evitare quello di carni conservate (salumi e insaccati) a favore di un aumento dell’apporto di legumi, frutta e verdura.
                I vegetali infatti sono infatti ricchi di sostanze antiossidanti, vitamine, minerali e fibre.
                I legumi, in particolar modo se associati ai cereali integrali, rappresentano anche un’ottima fonte di proteine vegetali.

                Non esistono però evidenze che l’esclusione completa della carne dall’alimentazione apporti ulteriori benefici. Anzi, un consumo regolare di pesce è stato associato ad una riduzione dei rischio di sviluppare tumori e malattie cardiovascolari in generale.
                Quello che non bisogna mai dimenticare è che la prevenzione delle così dette “patologie del benessere” passa soprattutto attraverso il mantenimento di un peso corporeo nella norma e uno stile di vita attivo associato ad una regolare attività fisica.

                Rischio di carenze nutrizionali

                Una dieta vegetariana varia può rispondere ai fabbisogni di un adulto sano.
                Vi sono tuttavia alcuni componenti della dieta sui quali è necessario porre particolare attenzione.

                Il ferro

                Il ferro è un micronutriente fondamentale per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti: è contenuto nell’emoglobina, il pigmento dei globuli rossi. Una sua carenza determina sintomi quali stanchezza, pallore, fragilità dei tessuti a rapido ricambio come capelli e unghie.
                Le principali fonti alimentari di ferro sono le carni, i prodotti ittici, i legumi secchi, la frutta secca oleosa, i cereali integrali e le verdure a foglia.
                Il ferro degli alimenti di origine vegetale è però presente in una forma più difficilmente assorbibile da parte dell’organismo rispetto a quella contenuta in carne e pesce.
                La vitamina C è in grado di aumentare l’assorbimento del ferro fino a 2-3 volte. È quindi consigliabile abbinare il consumo di alimenti ricchi in ferro con altri ricchi in vitamina C come agrumi, kiwi, vegetali a foglia verde, peperoni e pomodori.

                Il calcio

                È un elemento fondamentale per la corretta mineralizzazione di ossa e denti e per il funzionamento delle cellule. Le principali fonti alimentari di calcio sono i formaggi (specialmente se stagionati), il latte e lo yogurt. Fonti vegetali alternative sono rappresentate dalla soia e derivati (latte di soia, yogurt di soia, tofu), dai legumi secchi e da alcuni vegetali a foglia verde (cime di rapa, verze scure).
                Il calcio contenuto nei vegetali è però scarsamente assorbibile a causa dell’alto contenuto di fibre.
                Una fonte alternativa da non sottovalutare è rappresentata dalle acque minerali ad elevato residuo fisso come Ferrarelle, Sangemini, Lete, Uliveto.

                La vitamina B12

                Questa vitamina è essenziale per il funzionamento dell’organismo, in particolare del sistema nervoso e del fegato. Si trova principalmente in alimenti di origine animale, ma è possibile assorbirla anche attraverso i vegetali, soprattutto la soia.
In alcuni casi è possibile aumentare gli apporti di vitamina B12 attraverso il consumo di lievito di birra in pastiglie e, nel caso di una dieta vegana, anche con una supplementazione vitaminica mirata in quanto il rischio di carenza è particolarmente elevato.

                Lo zinco

                Lo zinco è un micronutriente necessario a molte reazioni biochimiche. Inoltre, è coinvolto nel corretto funzionamento del sistema immunitario. Le principali fonti vegetali di zinco sono i fagioli, le germe di grano, la frutta secca e i semi di zucca. Anche i latticini sono ricchi di zinco.

                Gli acidi grassi omega-3

                I vegetariani che non si cibano di pesce hanno bisogno di introdurre in altro modo gli acidi grassi omega-3, che hanno effetti benefici sulla prevenzione dei tumori e delle malattie cardiovascolari.
                Le principali fonte vegetali di omega 3 sono le noci e dai semi di lino.

                 

                 

                Giulia Puggioli – dietista –


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                  Il perfezionismo

                  ll perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione sembra avere un’origine multifattoriale e sembra essere un importante fattore di rischio e di mantenimento dei sintomi

                  Con questo termine si fa riferimento all’abitudine di domandare a se stessi o agli altri una prestazione maggiore rispetto a quella richiesta dalla situazione. Questa tendenza è spesso accompagnata ad una valutazione critica del proprio comportamento (Frost et al., 1990). Alcune caratteristiche del perfezionismo possono essere viste come socialmente desiderabili ed appaiono essere funzionali dato che spesso sforzi elevati sono spesso associati a soddisfazione personale e ad un aumentato senso di autostima. D’altra parte la tendenza al perfezionismo può essere associata ad un forte bisogno di evitare fallimenti, ed in questo caso può favorire lo sviluppo di elementi stressiogeni, umore oscillante, difficoltà a creare legami ed incapacità a tollerare critiche, fallimenti ed errori con la conseguente rinuncia all’affrontare compiti giudicati difficili.

                  Il perfezionismo nei disturbi del comportamento alimentare

                  Alcuni studiosi di questo tema hanno dato più rilievo agli aspetti personali, sottolineando anche l’influenza della componente genetica. Secondo Strober (1991), per esempio, tre aspetti della personalità fortemente legati al perfezionismo formano il cuore della vulnerabilità ai disturbi dell’alimentazione: la bassa ricerca delle novità motivata dalla paura del fallimento, l’eccessivo evitamento del danno al fine di preservarsi dalle critiche e la dipendenza dalle ricompense e dall’approvazione degli altri. Bastiani (1995) e Halmi et al. (2000), hanno dimostrato con i loro studi che la caratteristica del perfezionismo persiste in seguito all’aumento del peso corporeo così come l’impulso alla magrezza, ed hanno interpretato questi dati a favore della teoria della preesistenza della caratteristica di personalità al sintomo, presupponendo una vulnerabilità genotipica ai disturbi del comportamento alimentare. Altri autori hanno invece sottolineato maggiormente il ruolo dei fattori sociali. Hamacheck (1978) ha rilevato che l’eccessiva preoccupazione di compiere errori e la paura del giudizio negativo degli altri derivano da esperienze nell’infanzia: l’amore elargito dai genitori sarebbe condizionato dalle performance del bambino, e ciò causerebbe un sentimento di inadeguatezza con conseguente ansia e paura. Per Hewitt e Flett (1995) nelle persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare sono importanti le componenti sociali del perfezionismo a causa di un forte desiderio di conformarsi ad un modello o ad un ideale percepito come richiesto dagli altri. Questo sforzo sembrerebbe collegato al bisogno di apparire impeccabili nel tentativo di compensare la bassa autostima. Brownwll (1991) ha invece posto l’attenzione sul ruolo che la società moderna occupa nel generare la ricerca del corpo perfetto: avere un corpo perfetto simboleggia il controllo, che a sua volta simboleggia lavoro duro e ambizione.

                  Due assunzioni sottintendono questa aspirazione:
                  • essendo il corpo malleabile, con la giusta combinazione di alimentazione e di esercizio ognuno può diventare fisicamente perfetto;
                  • avere un corpo perfetto rende la vita molto più facile.
                  In realtà alcune ricerche hanno dimostrato sia che variabili biologiche/genetiche influenzano la regolazione del peso e delle forme corporee sia che essere fisicamente attraenti porta vantaggi in alcune aree ma, purtroppo, anche svantaggi in altre.

                  Alcuni consigli terapeutici

                  In primo luogo è utile favorire l’acquisizione da parte del paziente di una maggiore consapevolezza dei propri tratti perfezionistici, individuando gli ambiti della vita quotidiana in cui sono presenti standard eccessivamente elevati. Successivamente risulta interessante esplorare come il perfezionismo influenzi l’opinione di se stessi, le relazioni e le espressioni di sé. Infine, è importante cercare di capire quali fattori possano avere influito sullo sviluppo e sul mantenimento di tendenze perfezionistiche.

                  Conclusioni

                  Il perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione sembra avere un’origine multifattoriale e sembra essere un importante fattore di rischio e di mantenimento dei sintomi. I meccanismi attraverso cui il perfezionismo aumenta il rischio di sviluppare i disturbi dell’alimentazione non sono noti, ma sembrano esse importanti i legami che esso assume con l’autostima, l’immagine corporea, la restrizione alimentare e la sintomatologia ossessiva.

                  Bibliografia

                  Bastioni, A.M., Rao, R., Weltzin, T., Kaye, W.H. (1995). Perfectionism in anorexia nervosa. International Journal of Eating Disorders, 14, 439-443. Brownell, K.D. (1991). Dieting and the search for the perfect body: where physiology and culture collide. Behaviour Therapy, 22, 1-12. Frost, R.O., Marten, P., Lahart, C. E Rosenblate, r. (1990). The dimension of perfectionism. Cognitive Therapy and Research, 14, 449-468. Halmi, K., Sunday, S., Strober, M., Kaplan, A., Woodside, B., Fichter, M., Treasure, J., Berrettini, W. e Keye, W. (2000). American Journal of Psichiatry, 157, 1799-1805Hamacheck, D.E. (1978). Psychodynamics of normal and neurotic perfectionism, Psychology, 15, 27-33. Hewitt, P.L. e Flett, G.L. (1991). Perfectionism in the self and social context: conceptualization, assessment and association with psychopathology. Journal of Personality and Social Psychology, 60, 456-470. 
Strober, M. (1991). Disorders of self in anorexia nervosa: an organism-developmental paradigm. In C. Johnson (Ed.), Psychodinamic tratment of anorexia nervosa (pp. 354-373). New York: Guilford.


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