Tiroide e gravidanza

Durante la gravidanza il buon funzionamento della tiroide materna è essenziale per il corretto sviluppo del nascituro e, tra i molti adattamenti del corpo della donna, anche la tiroide sin dal concepimento si adegua alle nuove necessità.

Durante la gravidanza il buon funzionamento della tiroide materna è essenziale per il corretto sviluppo del nascituro e, tra i molti adattamenti del corpo della donna, anche la tiroide sin dal concepimento si adegua alle nuove necessità. Per nove mesi aumenta il carico di lavoro per la ghiandola che deve potenziare la sua produzione ormonale a causa dell’espansione del volume di sangue che circola nella madre e nel feto. Inoltre la placenta possiede un enzima che degrada gli ormoni tiroidei materni e anche questo contribuisce a doverne aumentare la produzione.
Per tutti questi motivi il fabbisogno di ormoni tiroidei aumenta di circa il 50 per cento. Se la tiroide è sana e vi è un adeguato apporto di iodio, il cui fabbisogno aumenta anch’esso del 50 per cento, la ghiandola risponde aumentando temporaneamente la sua grandezza e il rilascio di ormoni in modo adeguato.

Ipotiroidismo in gravidanza. Rischi per il nascituro?

Il rischio per una donna di ipotiroidismo gestazionale non è trascurabile. È compreso tra il 10 e il 15 per cento e tende a salire con l’età. Quindi almeno una donna gravida su 10 sviluppa un ipotiroidismo durante la gravidanza.
Gli ormoni tiroidei materni sono indispensabili per la crescita dei tessuti fetali fin dalle prime settimane di gestazione, in particolare per lo sviluppo del sistema nervoso. Man mano che la gravidanza procede, il feto matura progressivamente la capacità di produrre gli ormoni tiroidei e non dipende più da quelli materni. Questo avviene verso il termine del primo trimestre. Quindi è importante che, soprattutto nei primi tre mesi, la madre abbia una normale concentrazione di ormoni tiroidei nel sangue. Un requisito affinché questo avvenga, oltre a una tiroide sana, è un adeguato apporto di iodio che durante la gravidanza dovrebbe crescere dai 150 ai 250 microgrammi al giorno. La carenza di iodio si può riflettere negativamente, oltre che sulla tiroide della madre, anche sulla tiroide del feto che, dall’inizio del secondo trimestre, produce autonomamente gli ormoni tiroidei.
La carenza di iodio o l’ipotiroidismo materno, se gravi, possono provocare conseguenze negative nel neonato che, nei casi più gravi, assumono la forma del cretinismo.
I bambini affetti da cretinismo hanno una bassa statura, sono sordomuti, hanno gravi ritardi mentali e particolari caratteristiche dell’aspetto come ispessimento delle labbra e delle palpebre, lingua ingrossata, pelle squamosa, testa molto sviluppata, fronte corrugata. Oggi fortunatamente lo screening della funzione tiroidea che spesso viene fatta sulla donna in gravidanza e su tutti i neonati in Italia ha permesso la scomparsa di questi casi gravi.
Anche le donne affette da ipotiroidismo più lieve, e quindi più facilmente misconosciuto, corrono però qualche rischio durante la gravidanza come l’ipertensione gestazionale, la pre-eclampsia e il parto prematuro. Ma le conseguenze possono manifestarsi anche sul feto e sul neonato con un ritardo di sviluppo intrauterino e un basso peso alla nascita, aborto spontaneo, distacco della placenta e malformazioni congenite.
Il rischio di danni dovuti all’ipotiroidismo materno però si annulla se la donna ipotiroidea assume una corretta terapia sostitutiva con tiroxina durante la gravidanza. È quindi raccomandabile che le donne ipotiroidee raggiungano un adeguato compenso terapeutico prima del concepimento.

L’ipertiroidismo in gravidanza.

L’eccesso di ormoni tiroidei nel sangue della gestante è associata anch’essa a un aumentato rischio di complicanze come la pre-eclampsia, il parto prematuro, il distacco della placenta, l’aborto spontaneo e un basso peso del neonato. È quindi necessaria una corretta terapia dell’ipertiroidismo in modo da regolarizzare la funzione tiroidea e ridurre o annullare questi rischi.

Farmaci tiroidei in gravidanza.

L’utilizzo della tiroxina (T4) come terapia sostitutiva nell’ipotiroidismo non ha alcuna controindicazione né motivo di preoccupazione durante la gravidanza. Si tratta infatti di un ormone identico a quello prodotto dalla tiroide e che quindi non viene distinto da quello naturale. La quantità assunta però deve essere attentamente verificata con ripetute misurazioni del TSH nel corso della gravidanza in modo da non assumerne in eccesso o una quantità insufficiente. Una raccomandazione che viene fatta alle donne affette da ipotiroidismo in terapia sostitutiva che scoprono di essere incinte è quella di aumentare la dose di tiroxina di 25 microgrammi non appena scoprono il loro stato. Questo è importante perché il fabbisogno di T4 aumenta fin dalle prime settimane di gravidanza e questo aumento del farmaco, prima ancora di fare gli esami della tiroide, soddisfa adeguatamente le aumentate esigenze materno-fetali.
I farmaci usati invece nella cura dell’ipertiroidismo sono due, il metimazolo e il propiltiouracile. Di questi però solo il primo è in commercio nelle farmacie italiane mentre il secondo è disponibile solo all’estero o nelle farmacie internazionali presenti sul territorio nazionale. Il propiltiouracile può anche essere preparato come galenico dal farmacista o, su proposta motivata di uno specialista del Servizio sanitario nazionale, può essere acquistato dalle farmacie ospedaliere o dalla aziende sanitarie.
Le attuali linee guida raccomandano l’utilizzo del propiltiouracile nel primo trimestre e del metimazolo nel secondo e terzo trimestre con l’obiettivo di utilizzare comunque la dose minima di farmaco necessaria a curare l’ipertiroidismo frazionata durante la giornata. Nei rari casi di pazienti intolleranti o allergici ai farmaci antitiroidei oppure in condizioni in cui siano necessarie dosi molto elevate del farmaco, si può prendere in considerazione l’intervento di tiroidectomia. È comunque importante sottolineare che alle donne ipertiroidee viene raccomandato il raggiungimento di una normale funzione tiroidea prima del concepimento. Vi è invece una controindicazione assoluta alla terapia con iodio radioattivo e le donne che sono state sottoposte a questa terapia dovrebbero attendere almeno sei mesi prima di cercare una gravidanza.

Parola d’ordine: Prevenzione!

Per tutti i motivi illustrati, e in particolare per la prevalenza non trascurabile dell’ipotiroidismo nella popolazione femminile in età fertile, le donne che stanno programmando una gravidanza dovrebbero eseguire uno screening tiroideo con il dosaggio del Tsh prima della gravidanza, soprattutto se si tratta di donne a rischio di ipotiroidismo o di carenza di iodio. I fattori di rischio per l’ipotiroidismo sono la familiarità per malattie tiroidee, la presenza di anticorpi anti tiroide o di altre malattie autoimmuni, la precedente esposizione a radiazioni nella regione del collo, l’obesità e l’età superiore a 30 anni, l’infertilità e la residenza in aree a carenza di iodio. Inoltre dovrebbe essere assicurato un adeguato apporto di iodio con l’alimentazione (250 microgrammi al giorno), privilegiando i cibi che ne contengono di più o eventualmente ricorrendo alla supplementazione.
In questo modo è possibile riconoscere precocemente le disfunzioni della ghiandola tiroidea e trattarle opportunamente, in modo che anche le donne affette da malattie della tiroide possano vivere la gravidanza con serenità e senza rischi di effetti negativi per la madre e per il nascituro.

Tratto da “La Tiroide dalla A alla Z” di Claudio Pagano, Pragmata Edizioni, Roma

Claudio Pagano-Endocrinologo-


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    Sindrome dell’ intestino irritabile, la cura

    La parola chiave per la terapia della sindrome dell’intestino irritabile è la personalizzazione. L’approccio può essere farmacologico e/o non farmacologico , questo dipende dalla severità dei sintomi.

    La cura

    L’approccio terapeutico può essere farmacologico e/o non farmacologico , questo dipende dalla severità dei sintomi, tuttavia è necessario istruire i pazienti sulla possibile cronicità dei sintomi e sulla storia naturale della patologia caratterizzata da periodi di recrudescenza e remissione; i pazienti vanno rassicurati inoltre sulla natura benigna della patologia e anche del fatto che nonostante non ci siano alterazioni organiche oggettive i sintomi sono reali come sono reali i disagi e le sofferenze riferiti .

    L’approccio farmacologico prevede in caso di SII con alvo stitico, lassativi, fibre,attivatori dei canali del cloro che favoriscono la secrezione intestinale di acqua accelerando il transito colico e migliorando la funzionalità intestinale ,modulatori serotoninergici ; in caso di SII con diarrea ,antidiarroici come la loperamide ma anche antispastici quali agenti antimuscarinici e bloccanti i canali del calcio per ridurre le risposte contrattili della muscolatura liscia a stimoli stressanti o postprandiali.

    Per quanto riguarda i consigli relativi allo stile di vita le informazioni dovrebbero vertere sull’importanza del self management  e quindi incoraggiare i pazienti ad un’attività fisica regolare e a ritagliarsi dei momenti di relax.

    E’ di frequente riscontro un’esacerbazione dei sintomi dopo l’assunzione di certi alimenti ,pertanto sarebbe utile chiedere al paziente la compilazione di un diario alimentare per circa 2-3 settimane riportando tutti i momenti in cui sono comparsi i sintomi o si sono aggravati e tutti gli episodi di stress emotivo.

    Altre raccomandazioni saranno invece le seguenti:

    • Fare dei pasti regolari ,3 pasti principali più due-tre spuntini dedicandovi un tempo adeguato
    • Evitare di saltare i pasti o fare lunghe pause tra un pasto e l’altro
    • Bere almeno 8 bicchieri di liquidi al giorno ,  tra acqua e altre bevande non contenenti caffeina
    • Limitare il consumo di te e caffè a 3 tazze al giorno
    • Ridurre l’assunzione di alcol e bevande gassate
    • Limitare gli alimenti ad alto contenuto di fibra insolubile (farina integrale, farina o pane ad alto contenuto di fibre , crusca, cereali integrali, riso integrale) in quanto possono esacerbare la sintomatologia dolorosa addominale
    • Ridurre l’assunzione di amido resistente che resiste alla digestione del piccolo intestino e raggiunge intatto il colon ( alimenti preconfezionati, precotti, orzo, patate cotte, banane poco mature, pane pasta e riso cotti e poi lasciati raffreddare)
    • Limitare la frutta fresca a 3 porzioni al giorno
    • In caso di diarrea evitare il sorbitolo presente in gomme da masticare , bevande senza zucchero e prodotti dimagranti
    • In caso di gonfiore e meteorismo assumere avena e semi di lino ( almeno un cucchiaio al giorno)
    • Per pazienti con alvo stitico e non,  regolare l’assunzione di fibra incrementandola gradualmente preferendo la fibra solubile accompagnando sempre ad un’adeguata idratazione ed un’attività fisica regolare.

     

    Un ulteriore approccio di tipo alimentare è la dieta a basso contenuto di Fodmaps. Si tratta di molecole quali oligosaccaridi, disaccaridi ,monosaccaridi fermentabili e polioli che in soggetti predisposti creano disturbi intestinali compatibili con la SII.

    I carboidrati incriminati sono lattosio, fruttosio, fruttani, galattani e polialcoli; questo tipo di molecole vengono scarsamente assorbite e non digerite per poi essere fermentate a livello colico : si tratta di una condizione di malassorbimento.

    Il ridotto assorbimento può essere dovuto ai lenti meccanismi di trasporto attraverso l’epitelio intestinale (fruttosio) ,alla ridotta attività delle idrolasi sull’orletto a spazzola (lattosio), alla mancanza delle idrolasi(fruttani e galattani) e alle discrete dimensioni delle molecole che non riescono a passare per diffusione semplice (polialcoli) . Cosi’ lattosio, fruttosio, fos ,galattani e polialcoli non vengono assorbiti e provocano accumulo di gas ,metorismo ,distensione addominale, dolore e  diarrea.

    La dieta a basso contenuto di Fodmaps prevede la contemporanea restrizione di tutti gli alimenti che possono creare problemi ai pazienti con SII ed uno studio pubblicato nel 2014 (Diet low in Fodmaps reduces symptons of IBS.Gastroenterology 2014;146:67-75) ha messo in evidenza come la sintomatologia percepita dal paziente abbia presentato un miglioramento dopo un periodo di 21 giorni a regime low-FODMAP.

    Le fonti:

    Linee guida per la gestione della sindrome dell’intestino irritabile negli adulti. Antonino Cartabellotta, Anna Linda Patti , Franco Berti.

    Sindrome dell’intestino irritabile e ruolo della dieta a basso contenuto di FODMAP. Daria Piacentino, Sara Rossi, Valeria Alvino, Rosanna Di Nunno, Luca Piretta, Enrico Stefano Corazziari.


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      L’obeso pesa, ma soprattutto pensa

      I pazienti obesi non devono essere sottoposti a diete rigide: né in calorie né in continui messaggi allarmanti e raccomandazioni. L’adattamento metabolico la compromissione della massa magra, la perdita di controllo e i pensieri negativi fallimentari porterebbero all’insuccesso terapeutico.

      I pazienti obesi non devono essere sottoposti a diete rigide: la rigidità non deve essere presente né in calorie né in continui messaggi allarmanti e raccomandazioni.

      L’adattamento metabolico, la compromissione della massa magra, la perdita di controllo e i pensieri negativi fallimentari porterebbero all’insuccesso terapeutico.

      L’attenzione dei terapeuti va rivolta all’obeso che è fatto sì di massa corporea eccessiva ma anche e sopratutto di pensieri e comportamenti alterati.

      L’obesità è una malattia che va studiata mentre l’obeso è una persona che prima di tutto va capita per essere curata.

      La genetica, le disfunzioni ormonali, i danni metabolici non possono prescindere dalla persona che vive ,che pensa e che lotta con i suoi pensieri dietologici errati di cui spesso è vittima inconsapevole.

      L’educazione alimentare, il supporto comportamentale e la modifica della sedentarietà sono gli strumenti che se associati ad una prescrizione dietetica mirata ai fabbisogni nutrizionali di ogni individuo sono la vera garanzia di risultato.

      Un corretto bilancio energetico e dei nutrienti crea salute, la modifica dei pensieri dietologici disfunzionali crea benessere.


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        Scegli il percorso più adatto a te in presenza o online

        Digiuno intermittente

        Il digiuno intermittente  è uno schema alimentare che prevede l’alternanza tra periodi di astensione dal cibo con periodi di assunzione controllata di cibo. L’esame della calorimetria indiretta è utile per stabilire stabilisce l’esatta prescrizione dietetica.

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        Percorso dietologico

        Dedicato alle persone che nonostante sappiano il “cosa fare” non riescono a mettere in pratica il “come fare” perché incontrano, lungo il percorso, ostacoli e resistenze che non riescono a gestire. Se non sbagli dieta dimagrire è facile!

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        Farmacologico

        I farmaci per la cura dell’obesità come semaglutide e tirzepatide segnano un cambio di passo nella cura dell’obesità, la loro efficacia è superiore alle aspettative.

        Cambio di passo nella cura dell'obesità Richiedi

        Percorso mesoestetico

        E’ un percorso che prevede l’attivazione del metabolismo locale tramite l’iniezione intradermica di principi attivi certificati per efficacia e sicurezza.

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        Consigli nutrizionali per gastrite

        Viene definita gastrite uno spettro di patologia caratterizzata dalla documentazione istologica di cellule infiammatorie della mucosa gastrica. La terapia dietetica della gastrite ha lo scopo di evitare l’ipercinesia gastrica eliminando o riducendo quegli alimenti che provocano irritazione meccanica della mucosa e l’ipersecrezione gastrica eliminando o riducendo il consumo di alimenti che stimolano un eccesso di acidità gastrica ed allo stesso tempo sono irritanti per la mucosa.

        Pertanto i consigli dietetico-comportamentali sono i seguenti:

        • Fare pasti frequenti (mangiare cinque volte al giorno) e poco abbondanti masticando correttamente, questo riduce la permanenza di cibo nello stomaco;
        • Mangiare a orari regolari senza saltare i pasti, fare sempre uno spuntino a metà mattina e a metà pomeriggio;
        • Fare una passeggiata dopo il pasto per favorire la digestione;
        • L’assunzione ricorrente di latte è sconsigliata, al contrario di quanto si consigliava in passato, in quanto il contenuto proteico, lipidico e di calcio di questo alimento stimola la secrezione gastrica nelle 2-3 ore successive al pasto. Utilizzare quello scremato o parzialmente scremato che ha un ridotto contenuto di grassi;
        • Gli alimenti acidi possono essere assunti prestando attenzione alle risposte individuali e comunque senza abusarne. Il loro pH è maggiore rispetto a quello gastrico e solitamente non influenzano la secrezione di HCl. Sono da evitare in caso di ulcera esofagea o lesioni del cavo orale (prestare comunque attenzione a mandarini,limoni,arance,pomodori);
        • L’alcool, il caffè anche decaffeinato e bevande contenenti metilxantinici  (te , cola e anche cioccolato), succhi di frutta aciduli e bevande gassate vanno evitati ;
        • I cibi speziati stimolano la secrezione acida se assunti in quantità elevate e provocano vasodilatazione, se ne consiglia l’assunzione secondo la tolleranza individuale (pepe bianco,nero,peperoncino..);
        • I cibi grassi (carni rosse,insaccati, pesci grassi o conservati e formaggi fermentati come gorgonzola e pecorino,salse ) e gli zuccheri semplici in eccesso sono da evitare in quanto aumentano la secrezione di acido cloridrico;
        • Brodi ristretti, dadi ed estratti di carne, frutta secca vanno evitati (alimenti ad alta osmolarità e ricchi di peptidi);
        • Bere molta acqua protegge la mucosa esofagea e in caso di diarrea è necessaria per il reintegro dei liquidi persi;
        • Fare attenzione ad alimenti che producono gas (broccoli,cavoli,cipolle);
        • Evitare gli alimenti poco cotti, preferire cotture al vapore o alla griglia (senza far bruciare il cibo) o al cartoccio in forno, evitare le fritture per la produzione di acroleina sostanza con funzione vasoattiva e citolesiva per la mucosa);
        • Si sconsigliano gli alimenti salati poiché il sodio ha effetto disidratante sulla mucosa rendendola facilmente aggredibile ( prodotti in scatola,conservati o in salamoia e anche sottaceti);
        • Evitare gli alimenti troppo caldi o troppo freddi perché danneggiano la mucosa dello stomaco.

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          Tumore alla prostata, prevenzione

          Qui di seguito elenchiamo alimenti funzionali e sostanze con probabile effetto protettivo :
          – Pomodoro
          Diverse ricerche hanno messo in evidenza come il pomodoro possa svolgere un ruolo importante nella prevenzione dei varie forme di tumore (in particolar modo della prostata e dell’apparato digerente). Principale responsabile di questa attività antitumorale sarebbe il licopene, pigmento che conferisce al pomodoro il suo colore rosso.
          Gli effetti del licopene vengono accentuati dalla cottura.
          Altri alimenti che contengono tale sostanza sono melone, pompelmo rosa e guava.

          – Selenio
          Il selenio è un oligonutriente essenziale con funzione antiossidante nell’organismo.
          Fonti naturali di selenio sono pesce, molluschi, crostacei, prodotti carnei, frutta secca e legumi.
          Esistono anche alimenti addizionati di selenio come le patate e il lievito di birra.

          – Legumi
          Diversi studi suggeriscono un possibile effetto protettivo correlato all’assunzione di legumi, compresa la soia e i suoi derivati.

          – Vitamina E
          È uno dei principali antiossidanti del nostro organismo. Ne sono particolarmente ricchi l’olio extravergine di oliva, l’olio di germe di grano, l’olio di semi e la frutta secca.

           

          È invece fortemente consigliato limitare il consumo di carni trasformate (salumi e insaccati) e di alimenti ricchi in calcio (latte e derivati) in quanto ritenuti una delle possibili cause dello sviluppo di questo tipo di tumore.

           

           

          Fonti:
          1) Istituto Oncologico Europeo

          2) “Food, Nutrition, Physical Activity, and the Prevention of Cancer: a Global Perspective.”
          World Cancer Research Fund / American Institute for Cancer Research.

          3) “Nutraceuticals and prostate cancer prevention: a current review.”
          Trottier, Greg, et al. Nature Reviews Urology.


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            Colesterolo alto: cosa fare

            Il colesterolo è una sostanza fondamentale per il nostro organismo. E’ parte essenziale delle membrane cellulari e delle strutture neurologiche ed è precursore di ormoni quali gli steroidi.

            Il Colesterolo è il principale sterolo dei tessuti animali e precursore di ormoni steroidei, vitamina D e sali biliari.
            Gli alimenti più ricchi di colesterolo sono le frattaglie (cervello, fegato, rognone), il tuorlo d’uovo, burro, gamberi, formaggi stagionati.

            Si è visto che un’alimentazione ricca di trigliceridi e grassi saturi incrementa l’assorbimento del colesterolo da parte dell’organismo, pertanto un’alimentazione povera di questi componenti contribuisce alla riduzione della colesterolemia.
            Anche un incremento del consumo di fibra (cereali integrali, legumi, frutta e verdura) può contribuire a questo scopo accelerando il tempo di transito intestinale e ostacolando l’assorbimento del colesterolo.

            Il Ministero della Sanità afferma che il trattamento dietetico da solo ottiene una modesta riduzione dei livelli di colesterolo, ma può essere efficace in soggetti motivati e collaboranti, per cui deve essere sempre perseguito.

            Tra i farmaci i ’fibrati’ riducono prevalentemente la concentrazione ematica di trigliceridi e aumentano la colesterolemia HDL, ma non si sono dimostrati in grado di ridurre la mortalità totale e la mortalità cardiaca.
            Tutte le ’statine’ riducono la colesterolemia, ma solo per due di esse è stato dimostrato un effetto sulla mortalità.
            Esistono inoltre ipercolesterolemie familiari non alimentari, la cui terapia specifica è specificatamente farmacologica.

            Nonostante ciò colesterolo è comunque una sostanza fondamentale per il nostro organismo. È parte essenziale delle membrane cellulari e delle strutture neurologiche ed è precursore di ormoni quali gli steroidi.

            È una molecola indispensabile per la vita che deve rimanere però entro certi livelli che se superati trasformano una sostanza utile in potenzialmente pericolosa. I livelli di colesterolo elevati rappresentano infatti uno dei maggiori fattori di rischio vascolare.

            Viene assunto con gli alimenti (colesterolo esogeno) ma è anche prodotto dall’organismo, principalmente nel fegato (colesterolo endogeno). La quantità di colesterolo proveniente dagli alimenti modula la produzione endogena: se l’assunzione è elevata, viene soppressa nel fegato la sintesi di quello endogeno e promossa l’eliminazione con la bile.

            Valori elevati di colesterolemia nel sangue, pertanto, possono essere dovuti ad una eccessiva introduzione con gli alimenti oppure a meccanismi di produzione ed eliminazione non ben funzionanti.
            I valori elevati di colesterolo storicamente rappresentano un fattore di rischio vascolare. Negli ultimi anni, senza voler minimizzare il rischio colesterolo, si parla sempre di più di un rischio vascolare globale considerando da una parte l’insieme dei fattori negativi (la familiarità, l’obesità, la sedentarietà, l’eccesso di grasso addominale, l’ipertensione arteriosa, il fumo, il diabete o valori glicemici alterati, la trigliceridemia, l’uricemia) e dall’altra l’insieme dei fattori protettivi.

            Fattori protettivi che rappresentano un forte valore di contrasto: l’attività motoria blanda ma costante, la frutta, la verdura, i cereali, specie se integrali, gli oli vegetali, i grassi di pesce e tutti i cibi naturalmente ricchi di antiossidanti.

            Il livello di colesterolo nel sangue deve rimanere al di sotto di 200 mg/ml.
            Tali livelli vanno sempre rapportati ai valori di hdl colesterolo, quello buono che esercita un’azione protettiva.

            Il calcolo del colesterolo LDL, dosabile o ottenibile con la formula di Friedewald, ha tre livelli di normalità. Valori inferiori a 100 mg sono auspicabili nei soggetti con cardiopatia ischemica, valori compresi tra 100 e 130 nei soggetti con due fattori di rischio vascolari e valori compresi tra 130 e 160 in tutti gli altri.

            Esistono infine alcuni indicatori di rischio quali i valori elevati di omocisteina, della Proteina C Reattiva(US) della Lp (a).
            Interessanti sono anche i test che valutano lo stato ossidativo dell’organismo.

            E’ possibile ridurre e normalizzare i valori elevati di colesterolo con l’uso di farmaci appropriati (statine) ma prima è bene modificare lo stile di vita che spesso è in grado di normalizzare tali valori.

            In ogni caso anche se si dovesse intraprendere una terapia farmacologia deve essere sempre modificato lo stile di vita. L’uno (il farmaco) non esclude mai l’altro (lo stile di vita).


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              Stress e aumento del grasso viscerale

              Secondo la ricerca della dottoressa Zofia Zukowska della Georgetown University di Washington, lo stress non solo può indurre a mangiare di più, ma fa assimilare di più quello che mangiamo. E l’ormone ‘neuropeptide Y’ (NPY) fa il resto, permettendo l’accumulo di maggiori quantità di grasso alle cellule del tessuto adiposo, in particolare proprio dove sono più pericolosi e cioè attorno alla vita, conferendo quella forma a mela (obesità centrale) che è legata a ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari.

              Lo studio mostra infatti che topolini ingrassano in condizioni di stress emotivo o fisico. «Studiando i meccanismi che inducono chi è sotto stress a ingrassare oltre il dovuto – scrive riportando la notizia il quotidiano la Stampa – hanno osservato che un neurotrasmettitore già noto – l’NPY – gioca un ruolo strategico, e molto al di là di quanto già si sapeva. Sia l’NPY sia il suo recettore – chiamato Y2R – si attivano infatti in due tipi di cellule del tessuto adiposo, vale a dire in quelle endoteliali che producono i vasi sanguigni e in quelle del grasso vero e proprio. Ecco il nocciolo di tutto». «Abbiamo scoperto che NPY agisce anche a livello dei nervi periferici che innervano il tessuto adiposo – spiega Zukowska – Lo stress attiva questi nervi al rilascio di NPY che stimola l’accumulo di grasso». «Per verificare se fosse possibile far ingrassare i topolini “a richiesta”, e quindi in punti determinati del corpo, il gruppo della celebre università di Washington D.C. – scrive la Stampa – ha cominciato a iniettare l’NPY negli animali.

              Indotte a vivere in uno stato di stress cronico, le piccole cavie sono rapidamente aumentate di peso, assumendo la tipica forma a mela degli umani, con il grasso che si accumula intorno alla vita, e allo stesso tempo ammalandosi di sindrome metabolica, un’insidiosa combinazione di patologie che va dall’ipertensione al diabete. È seguita poi la fase numero 2: nel grasso addominale si è iniettato l’Y2R, che ha subito invertito il processo, bloccando sia la sindrome sia la crescita di dimensioni».

              «Non pensavamo che fosse possibile rimodellare il grasso in questo modo – ha commentato Zofia Zukoska -ma in quattro anni abbiamo eseguito numerosi test che hanno dimostrato che, almeno nei topi, e anche nelle scimmie, come sta dimostrando uno studio pilota, esiste questo meccanismo». Questo effetto, precisa l’esperta, diventa ancora più marcato quando, proprio perché sotto stress, si è presi da “fame nervosa” e si mangia troppo. «Abbiamo visto che se mangi il doppio delle calorie a causa dello stress – spiega Zukowska – il corrispondente aumento di peso non sarà di due volte (cioè equivalente all’ammontare delle calorie ingerite) ma quattro volte tanto», come se sotto stress si assimilasse il doppio.

              fonte: www.ansisa.it


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                Percorso dietologico

                Il “saper fare la dieta” non è il punto di partenza ma di arrivo

                La richiesta dimagrante dovrebbe sempre coincidere con un percorso di educazione alla Salute che comporta anche il sapere gestire il peso corporeo.

                Poco sappiamo delle persone che da sole riescono a perdere peso e forse anche a mantenerlo, tanto sappiamo però di chi non riesce perché ha bisogno di aiuto.

                Noi aiutiamo quelle persone che nonostante sappiano il “cosa fare” non riescono a mettere in pratica il “come fare” perché incontrano, lungo il percorso, ostacoli e resistenze che non riescono a gestire.

                Per la cura proponiamo un tempo utile per fare una nuova esperienza dietologica guidata per apprendere da questa conoscenze e abilità per normalizzare e stabilizzare il peso corporeo.

                Il concetto del tempo è il punto focale della terapia, inteso come rispetto reciproco del tempo che l’equipe e il paziente dedicano al percorso, ma anche quello adeguato da dedicarsi e da dedicare al percorso.

                Percorso dietologo di primo livello

                prevede incontri periodici con la dietista ed è un percorso prescrittivo educazionale

                costo 60 euro

                Percorso dietologo di secondo livello

                prevede incontri periodici con la dietista e/o il  medico o la psicoterapeuta e fa parte di un  percorso di riabilitazione psiconutrizionale,

                Costo 80 euro ad incontro

                Il costo delle visite mediche di controllo o gli incontri psicoeducazionali con il dott.Oliva hanno di costo di 80/120 euro


                Telefono 041 531 76 38

                Whatsapp 327 871 91 50


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                  Metabolismo Basale: cos’è e come si calcola?

                  Metabolismo basale (BEE, Basal Energy Expenditure) è la quantità di energia spesa da un individuo nelle seguenti condizioni: sveglio, in posizione supina, a distanza di 10 ore dal pasto, con temperatura corporea normale, temperatura ambientale tale da mantenere l’omeostasi termica ed in assenza di stress psicologici e fisici.


                  Basal Energy Expenditure (BEE) o Basal Metabolic Rate (BMR) sono i termini con i quali viene definito il metabolismo basale, cioè la quantità di energia spesa da un individuo nelle seguenti condizioni: sveglio, in posizione supina, a distanza di 10 ore dal pasto, con temperatura corporea normale, temperatura ambientale tale da mantenere l’omeostasi termica ed in assenza di stress psicologici e fisici.

                  In queste condizioni definite basali il metabolismo rappresenta la quantità di calorie richieste dall’organismo per mantenere le funzioni fisiologiche vitali (circolazione sanguigna, respirazione, attività nervosa, attività metabolica, attività ghiandolare e mantenimento della temperatura corporea).

                  In un individuo adulto, con attività motoria media, il BEE rappresenta circa il 60-75% della spesa energetica giornaliera.
 La maggior parte del dispendio calorico dipende dagli organi che contribuiscono per circa il 60% alla spesa energetica, pur rappresentando solo il 6% del peso corporeo. Gli organi che consumano più energia sono il fegato, il cervello, il cuore e i reni. La muscolatura scheletrica, invece, che rappresenta più del 40% del peso corporeo, contribuisce solo al 16% della spesa energetica totale.

                  Tra i processi cellulari ad esempio, l’attività della pompa sodio-potassio e il turnover dei protidi determinano i due terzi del consumo energetico totale.

                  I fattori che influenzano il dispendio energetico nell’uomo e nella donna sono: età, sesso, razza, massa corporea, attività fisica, temperatura corporea, condizioni fisiologiche ed introduzione di cibo.

                  Più elevata è la massa magra, più calorie si consumano.

                  La spesa energetica basale è massima alla nascita (53 Kcal a 1 anno) e decresce fino a valori minimi dopo i 70 anni (31 Kcal a 75 anni). 
A parità di età, altezza e peso il BEE è minore nella donna rispetto agli uomini. Questa differenza inizia all’età di 3 anni e aumenta rapidamente alla pubertà, alla quale corrisponde l’aumento della muscolatura scheletrica nei maschi e di cellule adipose nelle femmine. Più è elevata la massa magra, rappresentata da ossa, muscoli, organi e acqua, più calorie si consumano a riposo e durante l’attività motoria. 

Anche le condizioni patologiche influenzano il metabolismo: un aumento della temperatura dovuta a febbre, provoca un incremento della richiesta di ossigeno e di BEE. Ad esempio un aumento di temperatura di 1°C provoca un aumento del BEE del 13%; al contrario, in caso di ipotermia, si riduce la richiesta di ossigeno e si ha la diminuizione del BEE.

                  Aumentano il fabbisogno energetico anche particolari condizioni fisiologiche come la gravidanza e l’allattamento.

 L’introduzione di cibo determina, a sua volta variazioni nella spesa energetica. Prove di laboratorio hanno dimostrato, infatti, che la spesa energetica aumenta dopo un pasto.

                  Questo incremento può essere considerato come il lavoro richiesto per la digestione dei nutrienti SDA (Specific Dinamic Action) o DIT (Diet-Inducet Thermogenesis), che rappresenta circa il 5-10% della spesa energetica totale giornaliera. 

Una quota variabile della spesa energetica è data dall’attività motoria AEE (Activity Energy Expenditure).

                  Più alta è l’attività motoria giornaliera, maggiore sarà il consumo di calorie.

                  Più è alta la percentuale di attività motoria giornaliera, tanto maggiore sarà il consumo calorico. 

La spesa energetica totale TDEE (Total Daily Energy Expenditure) è quindi data dalla spesa energetica basale BEE, dall’energia spesa con l’attività motoria AEE e dal lavoro richiesto per la digestione dei nutrienti SDA.

                  Un metodo ottimale per misurare il proprio metabolismo è la calorimetria indiretta, un esame clinico in grado di determinare il REE ovvero il dispendio energetico a riposo.

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                    Digiuno intermittente

                    Il digiuno intermittente  è uno schema alimentare che prevede l’alternanza tra periodi di astensione dal cibo con periodi di assunzione controllata di cibo. L’esame della calorimetria indiretta è utile per stabilire stabilisce l’esatta prescrizione dietetica.

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                    Percorso dietologico

                    Dedicato alle persone che nonostante sappiano il “cosa fare” non riescono a mettere in pratica il “come fare” perché incontrano, lungo il percorso, ostacoli e resistenze che non riescono a gestire. Se non sbagli dieta dimagrire è facile!

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                    Farmacologico

                    I farmaci per la cura dell’obesità come semaglutide e tirzepatide segnano un cambio di passo nella cura dell’obesità, la loro efficacia è superiore alle aspettative.

                    Cambio di passo nella cura dell'obesità Richiedi

                    Percorso mesoestetico

                    E’ un percorso che prevede l’attivazione del metabolismo locale tramite l’iniezione intradermica di principi attivi certificati per efficacia e sicurezza.

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                    Diabete, prevenzione e cura

                    Quando un miglior stile di vita è più efficace dei farmaci

                    (Tratto dal “Bollettino di Informazione sui Farmaci”, Diabetes Prevention Program Research Group).

                    E’ ormai noto da tempo che il diabete mellito di tipo 2, oltre che da predisposizione genetica, dipende in larga misura da fattori ambientali e comportamentali quali l’obesità, la sedentarietà e un’alimentazione eccessiva e qualitativamente inappropriata.

                    Si calcola che da 124 milioni di soggetti diabetici presenti nel mondo nel 1997 si passerà, nel 2010, a più di 220 milioni e nel 2025 a circa 300 milioni.

                    Il maggior imputato di tale crescita viene individuato nelle rapide modificazioni delle abitudini di vita. Il diabete di tipo 2 deve pertanto essere considerato una malattia che, in buona parte, si può prevenire mediante la correzione dei principali fattori di rischio, in particolare con la riduzione dell’obesità, l’educazione alimentare e l’attività fisica.

                    Va sempre ricordato che modificare questi fattori significa ridurre l’incidenza o ritardare l’insorgenza di una patologia che ha riflessi negativi sulla morbilità e la mortalità, soprattutto cardiovascolare, delle persone colpite, e che ha conseguenze economiche rilevanti sia a livello individuale che sociale.

                    Alcune indagini hanno dimostrato in modo ineccepibile l’utilità e l’efficacia della prevenzione fondata su una dieta controllata e un’attività fisica regolare. In particolare, uno studio finlandese del 2001 (1) ha accertato che la riduzione del peso, il miglioramento dell’alimentazione e l’aumento dell’attività fisica riducono del 58%, in quattro anni, il rischio di progressione del diabete.

                    Infatti, a quattro anni dall’inizio dello studio, si è osservata un’insorgenza di diabete in circa il 10% dei soggetti del gruppo che ha modificato il proprio stile di vita contro oltre il 20% del gruppo di controllo.

                    Lo studio del Diabetes Prevention Program Research Group conferma che un programma intensivo di modificazione dello stile di vita e il trattamento con metformina hanno entrambi ridotto l’incidenza di diabete fra persone ad elevato rischio di insorgenza.

                    L’intervento intensivo sullo stile di vita è risultato clinicamente più utile del trattamento farmacologico, che, a sua volta, si è dimostrato più efficace del placebo. I risultati dello studio evidenziano ancora una volta i benefici tangibili che possono essere conseguiti con comportamenti adeguati, quali la riduzione di peso e l’attività fisica. Tali comportamenti possono risultare più efficaci dei farmaci.

                    1. Toumilehto j et al. Prevention of type 2 diabetes mellitus by changes in lifestyle among subjects with impaired glucose tollerance. N Engl j Med 2001 ;344: 1343-50.


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