Obesità infantile: terapia

La successione di eventi che porta al rischio cardiovascolare aumentato nell’adulto, come conseguenza dell’obesità, parte dunque nella maggior parte dei casi dall’età infantile e adolescenziale.


La successione di eventi che porta al rischio cardiovascolare aumentato nell’adulto, come conseguenza dell’obesità, parte nella maggior parte dei casi dall’età infantile e adolescenziale.

Non è dimostrato che un calo ponderale nell’adulto riduca il rischio di mortalità sebbene sia invece un dato di fatto che nelle persone normopeso si rileva un rischio minore.

Pertanto la terapia migliore è la prevenzione dell’obesità stessa. Prevenzione che deve iniziare nei soggetti a rischio fin dall’età evolutiva con un’educazione che attraversa i vari aspetti della loro quotidianità: scuola, mensa scolastica, genitori e mezzi di comunicazione.

Invertire la tendenza del fenomeno obesità infantile si dimostra attualmente molto difficile. Decenni di studi sottolineano l’inefficacia del trattamento costruito sulla sola dieta ipocalorica e prende sempre più importanza l’approccio multidisciplinare al problema considerato il risultato di cause complesse e multifattoriali.

L’obiettivo complessivo è quello di ottenere modifiche nel comportamento individuale e di eliminare le barriere sociali che si oppongono a scelte di vita salutari (piste ciclabili, campi sportivi, attività fisica a scuola, parchi gioco…) enfatizzando la gestione del peso a lungo termine più che estreme riduzioni di peso nel breve periodo.

Un vero e proprio dimagrimento è necessario solamente ove vi sia un BMI elevato o in presenza di complicanze (dislipidemia, ipertensione, intolleranza glucidica, etc.).

Informazioni per una corretta alimentazione devono essere necessariamente accompagnate da modificazioni del comportamento abituale innanzitutto con una riduzione della sedentarietà. 
L’obiettivo successivo è l’aumento dell’attività fisica e poiché sembra che l’attività fisica dei genitori determini un aumento del livello di attività dei bambini obesi è importante il loro coinvolgimento nel programma.

Il bambino deve diventare attore del programma.
 È stato visto inoltre che l’aspetto psicologico (es. autostima) è migliore nei ragazzi con un buon livello di attività fisica.

Le tecniche di terapia familiare hanno dato buoni risultati: l’approccio familiare va sempre perseguito in età pediatrica con la distinzione che nei bambini con età inferiore ai 12 anni il trattamento è combinato, mentre dai 12 anni in poi è contemporaneo, ma può avvenire separatamente.


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    Obesità infantile: diagnosi

    Per la diagnosi di obesità nel bambino non si fa riferimento come nell’adulto alle classi di IMC (Indice di Massa Corporea kg/m2 : 25-30 sovrappeso, > 30 obesità) in quanto, a seconda dell’età, ci sono delle fisiologiche variazioni dell’adiposità da tenere in considerazione.

    Per la diagnosi di obesità nel bambino non si fa riferimento come nell’adulto alle classi di IMC (Indice di Massa Corporea kg/m2 : 25-30 sovrappeso, > 30 obesità) in quanto, a seconda dell’età, ci sono delle fisiologiche variazioni dell’adiposità da tenere in considerazione.

    La valutazione viene dunque eseguita utilizzando tabelle con parametri di crescita di riferimento espresse in percentili (a seconda dei paesi i centili di riferimento cambiano). 
Solo dal 1997 (Luciano A. et al, Eur J Clin Nutr) esistono tabelle di percentili di IMC specifiche italiane, nate dall’esigenza di valutare i bambini con i riferimenti della nostra popolazione.

    Nel 2000 sono state pubblicate le prime tabelle di riferimento internazionali (Cole et al, Bmj): l’esigenza di valutare e confrontare il fenomeno obesità infantile nei vari paesi non poteva infatti essere soddisfatta per l’assenza di parametri di riferimento comuni; inoltre la stessa definizione di obesità variava da paese a paese a seconda dei percentili presi in considerazione (85%, 90%, 95%, 98%, etc…).

    Altre tabelle di valutazione del sovrappeso sono state formulate dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention) valide negli Stati Uniti e da Must et al (1991), quest’ultime consigliate dalla WHO per la determinazione del sovrappeso in età evolutiva:

    1. Tabelle nazionali: 
elaborate della Società Italiana di Diabetologia ed Endocrinologia Infantile (SIEDP). Cacciari, Dilani, Balsamo, Dammacco, De Luca, Chiarelli, Pasquino, Tonini, Vanelli (2002). Italian cross-sectional growth charts for height, weight and BMI (6-20y).
 Luciano, Bressan, Zoppi. Body mass index reference curves for children aged 3-19y from Verona, Italy.
    2. Tabelle internazionali: elaborate dall’International Obesity Task Force (IOTF), Cole, Bellizzi, Flegal, Dietz (2000). Establishing a standard definition for child overweight and obesity worldwide: International survey. 
International Center for Health Statistics in collaborazione con il National Center for Chronic Desease Prevention and Health Promotion (2000).

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      Obesità infantile: le cause

      L’obesità è il risultato di diverse cause più o meno evidenti e più o meno presenti a seconda del soggetto. Si parla dunque di un’eziologia multifattoriale che chiama in causa alimentazione, sedentarietà, fattori genetici e fattori ambientali.

      L’obesità è il risultato di diverse cause più o meno evidenti e più o meno presenti a seconda del soggetto. Si parla dunque di un’eziologia multifattoriale che chiama in causa alimentazione, sedentarietà, fattori genetici e fattori ambientali.

      L’avere uno o entrambi i genitori obesi è il fattore di rischio più importante per la comparsa dell’obesità in un bambino. 

Un altro fattore da tenere in considerazione è la precocità dell’ “adiposiy rebound”: normalmente dopo l’età di un anno, i valori di IMC (Indice di Massa Corporea: peso in kg /altezza in m2) diminuiscono fino a raggiungere il valore minimo attorno ai 5-6 anni per poi riprendere ad aumentare.

      Un incremento dei valori di BMI prima dei 5 anni (adiposity rebound precoce) viene riconosciuto come un indicatore precoce di rischio di sviluppo di obesità. 

Negli ultimi anni la ricerca ha portato alla luce il contributo genetico della familiarità nello sviluppo dell’obesità. Studi su gemelli omozigoti e soggetti adottati, attraverso la correlazione del peso dei soggetti stessi e dei genitori adottivi e naturali, hanno dimostrato che il grado di ereditabilità del sovrappeso varia dal 60 al 70%; osservando le famiglie dei bambini obesi si è visto quindi che avere uno o entrambi i genitori obesi aumenta la probabilità di essere obesi.

      Ma l’aumento così repentino del numero di bambini obesi non può esser imputato solo alla predisposizione genetica: non possono infatti essere mutati così drasticamente i caratteri genetici in un intervallo di tempo di qualche decennio. 

Uno studio condotto su gemelli nati dal 1975 al 1979 in Finlandia dimostra che il BMI è strettamente correlato al peso alla nascita e al BMI dei genitori. Il periodo intrauterino ha dunque effetti durevoli sul peso corporeo adulto. Alcuni studi epidemiologici suggeriscono l’esistenza di un legame tra sviluppo di obesità in età evolutiva e allattamento al seno: bambini allattati al seno mostrano un rischio più basso di essere in sovrappeso da adulti e adolescenti in modo proporzionale alla durata dell’allattamento. 

Il patrimonio genetico è la base su cui si estrinsecano altri fattori: alimentazione, inattività, contesto sociale, comportamento alimentare. Tra i diversi aspetti dell’alimentazione si sta cercando di capire quali contribuiscano in modo particolare all’eccesso ponderale.


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        Costruire il proprio benessere

        Il bisogno maggiormente condiviso dal punto di vista psicologico e sociale da tutte le persone è il raggiungimento di uno stato di benessere globale, esteriore e interiore. Il sentirsi bene è un’esperienza interna, cognitiva ed emotiva, uno stato consapevole, un sentimento piacevole di contentezza e soddisfazione. Essa dipende da numerosi fattori, situazionali (esterni) o di personalità (interni): la realizzazione di sé, il successo personale, la possibilità di interazioni sociali, la cessazione di un problema, l’effettuazione di esperienze positive, l’essere ottimisti, l’avere un corpo che piace, non avere disagi. Ci sono vari elementi che non possiamo direttamente controllare, individuabili come fonte di benessere ma tanti altri invece possono essere personalmente ricercati e costruiti, per sentirci meglio con il nostro corpo, con la nostra persona e con gli altri, per rendere la vita più salutare, più piacevole e significativa.

        Il benessere è una dimensione che può essere allenata.

        Innanzitutto è fondamentale, a tal fine, partire dalla conoscenza di sé e di quello che si è, delle proprie caratteristiche, risorse e limiti.

        Questo consentirà di poter rafforzare e intervenire da soli su se stessi per valutarsi, migliorarsi, per trovare la soluzione a un disagio, per adottare uno stile di vita più corretto, oppure permetterà di rendersi consapevoli delle aree in cui non si è capaci di attuare da soli un cambiamento e di chiedere aiuto ad uno specialista per essere accompagnati verso uno stato di maggior benessere.

        Per chi desidera iniziare a prendere consapevolezza del proprio stato di benessere e fare qualche piccola ma utile cosa per incrementarlo, proponiamo alcuni consigli e linee guida. Provare ad applicarli gradualmente nella propria quotidianità consentirà di iniziare a migliorare qualcosa di sé o a trovare la strada per chiedere un sostegno per sentirsi meglio.

        Riguardano tre dimensioni della persona:

        Fare

        Tenersi occupati in attività piacevoli, sociali, significative, fisiche

        Soprattutto le attività piacevoli, nuove, che prevedono un contatto con gli altri, che facciano sentire efficienti e produttivi, che abbiano un importante significato per sé permettono di sentirsi più contenti e di avere energia, entusiasmo. È essenziale pertanto, anche la scelta di un tipo di lavoro che gratifichi o, laddove ciò non è possibile, lo svolgimento di attività utili e piacevoli durante il tempo libero.

        Condurre uno stile di vita sano e dinamico

        La ricerca dell’equilibrio giusto e della correttezza sul piano alimentare e motorio consentono di avere un giudizio più positivo di sé, di piacersi e piacere di più, di ricevere rinforzi positivi alla propria autostima. L’incremento dell’attività fi sica agisce contro la depressione, la noia, l’isolamento, oltre che sulla salute del fisico e sulla prevenzione di malattie. Attività che implicano sforzo fisico sembrano inoltre generare più piacere rispetto a delle attività sedentarie.

        Organizzarsi e pianificare le proprie attività

        È bene avere una buona capacità organizzativa generale sia nel quotidiano che nei progetti a lungo termine, essere efficienti e non rimandare, chiarificando i propri obiettivi e godendo dei risultati ogni giorno raggiunti.

        Avere cura della propria salute psicofisica

        Percepirsi e vedersi in modo più positivo fa vivere meglio e per sentirsi tali i primi passi sono l’attenzione e la cura all’alimentazione, allo stile di vita e all’esercizio fisico. Principi fondamentali per sentirsi bene sono anche ricercare la conoscenza di se stessi, perseguire la propria realizzazione, sapersi accettare, saper trovare un tempo da dedicarsi per attività ritenute rilassanti o piacevoli, saper riconoscere eventuali disagi, cercarne la soluzione o, qualora ci si renda conto di non potersela dare da soli, cercare un aiuto anche professionale. Possiamo immaginare la nostra mente e il nostro corpo come una pentola a pressione in cui, se continuiamo ad introdurre elementi sfavorevoli al nostro benessere e alla salute, senza dare possibilità di sfiato, il coperchio prima o poi scoppierà in un disturbo.

        Essere

        Essere se stessi.

        Poiché tutte le persone sono differenti, è importante costruire e mantenere la propria identità, che poi potrà piacere ad alcune categorie di persone e non ad altre (questo vale per tutti qualunque identità si scelga di vestire) e non attuare caratteristiche e modi di essere che non sono propri, poiché l’ambiguità nel tempo emerge e diviene causa di conflitti e insoddisfazione.

         Essere socievoli

        L’uomo è per natura un essere sociale e pertanto necessita della relazione con altre persone significative da cui trarre e dare sostegno, crescita, rinforzi positivi e condivisione.

         Essere orientati sul presente

        Per stare bene non è utile orientare i propri pensieri per lo più altrove rispetto al momento che si sta vivendo: è invece importante saper investire nel qui ed ora, saper cogliere le opportunità che si presentano momento per momento, poter utilizzare la proprie energie psicofisiche per dare massimo valore a ciò che si può vivere giorno per giorno.

         Essere ottimisti

        Spesso il modo in cui si interpretano gli eventi ha molta più importanza degli eventi in sé. Chi riesce a trovare un senso valido ad un’esperienza negativa o chi sa giudicare in modo positivo un qualcosa che di per sé sarebbe neutrale o ambiguo, avrà più capacità nell’affrontare le difficoltà, più emozioni positive che consentiranno, a loro volta, il raggiungimento di obiettivi più positivi.

        Sviluppare

        Aspettative adeguate

        Avere aspettative molto elevate ed essere perfezionisti spesso è causa di delusioni e insoddisfazioni, poiché non sempre e non per tutti è possibile raggiungere determinati traguardi e spesso lo sforzo richiesto è maggiore del piacere ottenuto. La modalità per sentirsi bene e felici è dunque riposta nella capacità di moderare le proprie aspirazioni in base alla realtà personale ed esterna e saper sfruttare e valorizzare il presente più che un risultato continuamente posposto e inarrivabile.

         Rapporti sociali e intimi

        L’attività sociale, essenziale per la sopravvivenza della persona, è fondamentale anche per il benessere mentale ed emotivo. È importante crearsi vari spazi di interazione sociale, di tipo sia formale che informale: essa consente di arricchire la propria personalità, di confrontarsi, di ricevere stimoli positivi, di rafforzare la propria identità. Soprattutto le relazioni profonde, intime, significative, risultano avere un’importanza fondamentale per il nostro benessere psicofisico.

        Fitness metabolico

        Senza un’adeguata attività motoria non è possibile gestire il peso corporeo nel lungo periodo. Il movimento comporta diversi benefici che supportano e incrementano l’effetto di un regime dietetico bilanciato e studiato sulla base del metabolismo.

        Metabolismo e attività fisica: un rapporto complesso

        Il corpo, quando è a riposo, per produrre energia utilizza i cosiddetti “substrati ossidabili”, come glucosio e glicogeno. 
In caso di attività fisica, invece, utilizza i depositi di acidi grassi contenuti nelle cellule adipose, ed è per questo che lo sforzo favorisce la perdita di tessuto adiposo.

        Non solo: chi è sovrappeso o addirittura obeso e non pratica un’attività fisica regolare, va incontro a un calo del metabolismo basale e quindi a una perdita di massa magra, che viene sostituita da massa grassa, peggiorando la situazione.

        L’esercizio fisico, oltre ad incrementare progressivamente il metabolismo a riposo, influenza anche la produzione di calore indotta dagli alimenti. Questo fenomeno, estremamente interessante sotto il profilo scientifico, è mediato da una serie di segnali ormonali specifici. In particolare l’attività fisica regolare agisce direttamente sulla corticotropina (CRF), che induce una riduzione delle calorie introdotte e un aumento del consumo di energia, al contrario del neuropeptide Y, che ha un’attività diametralmente opposta. Con l’esercizio fisico, quindi, si favorisce la sintesi di CRF e si consumano più calorie.

        La conferma pratica di queste osservazioni viene dalle 
Clinical Guidelines on The Identification, Evaluation and Treatment of Overweight and Obesity in Adults dei National Institutes of Health (NIH) di Bethesda, Maryland (USA), che si possono così riassumere:

        • l’aumento dell’attività fisica, da solo o in associazione a un trattamento dietetico, consente di creare un deficit nel bilancio calorico e quindi di favorire il calo di peso;
        • in particolare, con l’attività fisica si può ottenere un calo del 2-3 per cento del peso e dell’indice di massa corporea;
        • un’attività fisica regolare favorisce la ridistribuzione del grasso corporeo, facilitando la perdita del grasso intraddominale considerato particolarmente a rischio per la salute. Non esistono ancora studi che dimostrino che questo effetto sia indipendente dalla perdita di peso;
        • l’attività fisica regolare nelle persone obese e in sovrappeso aumenta le prestazioni cardiorespiratorie indipendentemente dalla perdita di peso, con ripercussioni positive sulla qualità della vita e sull’umore del soggetto;
        • l’attività fisica regolare rappresenta un fattore protettivo per le malattie cardiovascolari e il diabete, sia in termini di mortalità che di morbilità. In particolare, agisce abbassando la pressione arteriosa e i valori dei trigliceridi nel sangue, aumentando il colesterolo HDL e migliorando la tolleranza al glucosio.Tutti questi effetti sono indipendenti dal calo di peso (tratto da www.cardiometabolica.org).
 
I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno recentemente osservato gli effetti di differenti tipologie di attività fisica sulla salute delle donne americane di età superiore ai 50 anni. Dai risultati è emerso che una passeggiata giornaliera a passo sostenuto per un totale di circa 2 ore e mezzo alla settimana, riduce il rischio di ictus e cardiopatie più della corsa e degli sforzi in palestra.

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          Prevenire le patologie della tiroide in 5 mosse

          Molte delle malattie della tiroide, dal gozzo semplice a quello multinodulare, si possono prevenire con un’adeguata assunzione di iodio con gli alimenti. Inoltre la diagnosi precoce dei noduli e dei carcinomi permette, nella maggior parte dei casi, una guarigione completa dalla malattia.

          Ecco 5 consigli per la prevenzione delle patologie tiroidee :

          1. Assumi un’alimentazione variata che preveda pesce 2-3 volte la settimana e usa regolarmente il sale iodato.
          2. Fai valutare la tua tiroide con la semplice palpazione una volta all’anno dal tuo medico di fiducia. I test di screening come l’ecografia e gli esami del sangue sono giustificati solo in persone ad alto rischio di malattie e tumori della tiroide.
          3. Durante la gravidanza e l’allattamento accertati che l’assunzione di iodio sia adeguata ed eventualmente utilizza un integratore di iodio.
          4. Se soffri di ipotiroidismo o ipertiroidismo e aspetti un bambino o intendi programmare una gravidanza, consulta un endocrinologo e accertati di assumere una terapia corretta.
          5. Se sei stato esposto a iodio radioattivo a dosi elevate o irradiazione  nella regione del collo sottoponiti a regolari controlli.

           Tratto da “La Tiroide dalla A alla Z” di Claudio Pagano, Pragmata Edizioni, Roma.

          Claudio Pagano-endocrinologo-


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            La prevenzione del cancro al colon

            È noto che il cancro al colon è correlato gli stili di vita occidentali fortemente caratterizzati dall’assunzione di diete ad alto contenuto di acidi grassi saturi e povera di fibre.

            Il cancro colorettale (CCR) rappresenta la seconda causa di morte per cancro nei due sessi ; nella stragrande maggioranza dei casi il processo neoplastico si realizza con un evoluzione dell’epitelio intestinale che avviene in molti anni e questo rappresenta un’opportunità ideale per interventi di prevenzione diretti ad interrompere la storia naturale della malattia in una delle fasi evolutive che precedono l’insorgenza del cancro.

            Tra gli interventi di prevenzione si distinguono:

            • la prevenzione primaria che ha  l’obiettivo di evitare l’insorgenza dell’adenoma ed è diretta alla popolazione generale;
            • lo screening diretto ai soggetti asintomatici a rischio intermedio per identificare e trattare gli adenomi in stadi più precoci di quanto si osserva nei soggetti sintomatici;
            • la sorveglianza , che ha lo stesso obiettivo dello screening ma è diretta ai soggetti ad alto rischiio per questo cancro.

            È noto che il CCR sia correlato gli stili di vita occidentali fortemente caratterizzato dall’assunzione di diete ad alto contenuto di acidi grassi saturi  e povera di fibre il cui effetto protettivo dipenderebbe dall’aumento della massa fecale che diluisce i carcinogeni e riduce il loro contatto con la mucosa accelerando il transito.

            Molti studi epidemiologici mostrano un aumento di incidenza di CCR nei grandi consumatori di carne rossa , le ipotesi patogenetiche sono numerose: stimolo alla secrezione di insulina endogena con azione mitogena, incremento di grassi saturi, di ferro emico , di amine eterocicliche (effetti dovuti alla modalità di cottura della carne , alte temperature >200° , tempi prolungati e superfici carbonizzate). Dati relativi all’assunzione di calcio e vit D hanno mostrato una modesta ma significativa riduzione del rischio di insorgenza di cancro e adenomi, per quanto riguarda l’acido folico gli studi sono contrastanti , importanti invece sono la correlazione inversa tra vitamina B6 e CCR soprattutto negli alcolisti . Al momento quindi non sono ben note informazioni sui singoli componenti alimentari ma vi è una forte correlazione tra CCR e stili alimentari che comportano importanti consumi di carni rosse e carboidrati raffinati . Le prime per la presenza di amine eterocicliche prodotte da metodi di cottura basate su alte temperature e tempi prolungati , e sulla presenza in prodotti conservati quali salumi ed affettati di conservanti quali nitriti e nitrati usati come antimicrobici ed antisettici che nell’organismo vanno incontro a trasformazioni in nitrosammine ( probabili cancerogeni per l’uomo secondo l’AIRC) i secondi per lo scarso utilizzo di fibra alimentare e il conseguente accumulo di acidi biliari a livello intestinale.

            Tra i meccanismi patogenetici legati all’obesità ed al sovrappeso sono coinvolti la resistenza insulinica e l’iperinsulinemia ma anche uno stato pro infiammatorio legato alla presenza di grasso viscerale in sede addominale (organo endocrino a tutti gli effetti ). Infine anche l’attività fisica avrebbe una correlazione inversa con il CCR giacchè ridurrebbe la produzione di insulina e lo stato infiammatorio e ridurrebbe l’adiposità viscerale.

            Per riassumere le raccomandazione per la prevenzione primaria del CCR sono le seguenti:

            • ridurre l’assunzione di grassi al 30%
            • includere nella dieta ogni giorno frutta e verdura
            • assumere alcolici con moderazione ( 1 bucchiere di vino a pasto)
            • mantenere un peso sano
            • aumentare l’apporto di fibra a 20-30 g al giorno
            • minimizzare il consumo di cibi salati, conservati o affumicati o nel caso abbinarli ad alimenti ricchi di vitamina C in grado di impedire la formazione di amine eterocicliche ( esempio marinatura con succo di limone per le carni alla griglia e consumo di frutta dopo un pasto che preveda salumi: panino e prosciutto seguito da kiwi !)
            • bilanciare l’apporto calorico con l’attività fisica.

            fonte : Manuale di Gastroenterologia Unigastro 2013-2015

            Federica Mercuri -dietista-


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              La terapia educazionale comportamentale

              Cura l’Obeso, ossia la persona, per curare l’obesità, ossia la malattia. Nello specifico la terapia educazionale-comportamentale: coinvolge il paziente in tutte le fasi della terapia informando, educando, sostenendo come in un percorso di riabilitazione.

              Cura l’Obeso, ossia la persona, per curare l’obesità, ossia la malattia.

              Nello specifico la terapia educazionale-comportamentale:

              • coinvolge il paziente in tutte le fasi della terapia informando, educando, sostenendo come in un percorso di riabilitazione;
              • propone il calo ponderale non come obiettivo primario ma punta al benessere e alla qualità delle vita;
              • enfatizza il vantaggio metabolica e vascolare di un calo ponderale anche modesto ( 5-10%) ;
              • spiega il vantaggio di una nutrizione bilanciata e saziante. La dieta saziante aiuta il controllo mentre la dieta affamante porta alla perdita di controllo e quindi al fallimento;
              • illustra l’importanza dell’esercizio fisico e dei suoi benefici metabolici. La sedentarietà ha spesso un ruolo superiore al cibo sia nel determinare l’obesità che nel programma di perdita di peso.

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                Dimagrire con la testa: il pensiero dimagrante

                Ciò che pensiamo e le emozioni che proviamo influiscono sempre sul nostro corpo e sui tempi e i modi di recupero da un disturbo, o sul successo di una terapia. Per questo anche nell’approccio a una dieta dimagrante è importante adottare un pensiero favorevole a un nuovo approccio positivo al cambiamento.

                Possiamo elencare alcuni “pensieri negativi” che tipicamente allontanano da un approccio corretto al percorso dietologico che vanno accantonati per far spazio a “pensieri positivi”, che al contrario lo sostengono e lo incoraggiano.

                È sbagliato pensarla così:

                • la presunzione di sapere ’come fare’ è la maggiore causa di fallimento
                • per dimagrire bisogna fare la fame salto i pasti cosi dimagrisco prima
                • la pasta e il pane fanno ingrassare
                • sto a dieta quindi non posso assolutamente trasgredire
                • il mio metabolismo non funziona bene
                • solo i farmaci mi possono far dimagrire
                • da domani mi metto a dieta intanto mangio
                • per dimagrire debbo per sempre rinunciare ai miei cibi preferiti
                • la dieta mette tristezza
                • mi sento in colpa se trasgredisce
                • è inutile dimagrire tanto poi ingrasso.

                È corretto pensarla così:

                • evito la rigidità
                • controllo alimentare significa dieta come regola che prevede ed è potenziata dalla trasgressione
                • il tempo è il migliore alleato
                • controllo non tanto il tipo di cibo ma il metodo di cottura che non preveda l’aggiunta di grassi di condimento
                • meglio una porzione abbondante di pasta senza condimenti che metà porzione condita abbondantemente
                • la colazione è un pasto principale
                • non salto i pasti altrimenti la fame mi fa perdere il controllo
                • ho la certezza di perdere peso se rinvesto nel lungo periodo
                • solo modificando il mio modo di “pensare dietologico” posso mantenere i chili persi
                • se mi trovo a lottare con la bilancia debbo mettere in discussione le mie convinzioni dietologiche.

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                  OSAS e depressione: quale legame?

                  Cos’è l’OSAS? La Sindrome da apnee notturne (detta OSAS) è caratterizzata da episodi di apnea durante il sonno. Questi episodi portano con loro diversi effetti negativi a carico della salute mentale e fisica.

                  La persona che soffre di OSAS esperisce una frammentazione del sonno, con un’aumentata sonnolenza durante il giorno , che porta a difficoltà nella gestione delle attività quotidiane e lavorative, a causa di diversi disturbi secondari ( come mancanza di concentrazione, irritabilità, sbalzi d’umore, etc.).

                  Secondo recenti studi, le apnee notturne si assocerebbero a disturbi depressivi.

                  Lo stretto legame tra OSAS e depressione deriva da due aspetti:

                  • la mancanza di sonno ha come conseguenza una compromissione della qualità della vita, associata ad un abbassamento del tono dell’umore;
                  • apnee notturne e depressione sembrano condividere un substrato comune, cioè la carenza di serotonina. Quest’ultima ha un ruolo importante sia nella regolazione dell’umore che nel controllo del tono muscolare delle vie aeree superiori durante il sonno. Una riduzione della serotonina potrebbe quindi essere alla base dell’abbassamento del tono dell’umore e delle apnee notturne.

                  Nonostante non sia stato del tutto chiarito se la depressione sia causa o conseguenza dei sintomi dell’OSAS, è importante valutare l’eventuale comorbilità tra queste due condizioni per adottare il trattamento più adeguato ed alleviare entrambe.

                  Presso il nostro Ambulatorio è possibile effettuare l’esame della Polisonnografia.

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