Utilizzare i farmaci (Tirzepatide, Semaglutide) non significa togliere responsabilità alla persona, ma facilitare una scelta di salute consapevole. La cura parte da un’alimentazione equilibrata, un’attività fisica mirata e, soprattutto, da quella tanto proclamata quanto spesso trascurata “cura di sé”.
Prendersi cura di sé richiede tempo, ascolto attento del proprio corpo ed una riflessione profonda, in linea con l’ideale latino di otium, inteso come riflessione, armonia e connessione tra emozioni e corpo.
I farmaci, dunque, non devono essere prescritti in modo automatico, ma inseriti in un percorso di cura globale, dove l’approccio è altamente personalizzato.
La vera domanda non è “farmaci si o farmaci no”, ma “come, quando e per chi utilizzare i farmaci in modo mirato e calibrato”?
IL VERSO DELLA CORRENTE CAMBIA
Mi occupo della gestione del peso da decenni: ho iniziato nel lontano 1984.
Cosa è cambiato in tutti questi anni?
All’inizio il nostro lavoro si basava sulle diete computerizzate, strumenti che per l’epoca erano innovativi ma anche limitati.
Con il tempo abbiamo compreso che non bastaav dire cosa fare o come farlo: il vero obiettivo era ed è curare la persona, non solo la malattia.
La malattia è l’insieme di alterazioni disfunzionali che coinvolgono diversi sistemi: neurotrasmettitoriale, metabolico e ormonale.
La persona, invece, porta con sé una sofferenza profonda, che precede,alimenta e segue la malattia stessa.
Per questo abbiamo cercato di rendere il paziente il vero protagonista, sostenendolo mentre rema controcorrente, sia nella gestione del comportamento alimentare, sia nella fatica di regolare le emozioni.
Nella terapia dell’obesità, in particolare dell’obesità associata a BED (Disturbo da Alimentazione Incontrollata), oggi qualcosa di straordinario è accaduto:
non è più il paziente a dover lottare disperatamente contro la corrente.
Il verso della corrente cambia.
Grazie ai nuovi farmaci, possiamo finalmente educare e sostenere, aiutando la persona a nuotare nella direzione giusta, dove tutto diventa possibile, fattibile, più semplice e liberatorio.
Si spezzano così le catene di colpa, fallimento, vergogna e frustrazione, sentimenti nati da anni di tentativi andati a vuoto.
Oggi ci si può curare davvero: l’impegno personale rimane, ma diventa finalmente spontaneo, naturale, duraturo ed efficace.
Spero che presto questo progresso possa arrivare anche per l’anoressia, con un farmaco che faciliti la cura, liberando la persona dall’incubo di doversi nutrire contro un’avversione profonda, che blocca, ferisce e violenta.
Questo permetterebbe di concentrarsi più facilmente sul percorso psicoterapico, dedicando energie alla guarigione e non alla lotta quotidiana con il cibo.
Se sei interessato ad approfondire o a conoscere le opzioni terapeutiche più adatte, ti invitiamo a contattarci
