Il termine obesità al singolare obbliga a racchiudere, condizioni molto differenti tra di loro, in uno spazio diagnostico che non riesce a differenziare i vari soggetti.
Sarebbe opportuno pertanto incominciare a parlarne al plurale: “le obesità”. Esistono i soggetti “ingrassati” perché mangiano e non hanno nessuna intenzione di cambiare, altri invece che hanno delle condizioni genetiche (polimorfismi) che facilitano l’accumulo di grasso nonostante i tentativi di porre rimedio e quelle obesità associate a un disturbo del comportamento alimentare (binge eating) . Anche questa è una schematizzazione grossolana ma distingue almeno tre differenti percorsi terapeutici.
“Noi partiamo dall’idea che si cura l’obeso e non l’obesità, il malato al posto della malattia, la consapevolezza al posto della prescrizione medica e la restrizione alimentare è superata da un nuovo stile di vita.
La dieta fine a se stessa, non serve, anzi alla lunga fa prendere più chili. Non si può vivere a lungo nella restrizione alimentare, prima o poi si cede e si innescano meccanismi pericolosi.
È il paradosso delle diete ipocaloriche, che con il passare del tempo finiscono col far ingrassare.